In finanza, i personaggi ‘negativi’, ovvero coloro che hanno arrecato danni gravi, perfino fatali, alle proprie istituzioni o che hanno attuato schemi criminali a danno di molti risparmiatori, raramente abbandonano la scena. C’è chi, dopo una breve pausa, torna semplicemente a fare finanza, come se nulla fosse successo. E’ il caso di un Meriwether che, dopo avere violato le regole delle aste dei titoli pubblici operando per conto di Salomon Brothers, ed esserne stato cacciato, ricompariva nelle vesti di fondatore/CEO di LTCM; e dopo avere affondato anche quell’istituzione egli riappariva ancora come fondatore/CEO del nuovo hedge fund JWM. C’è chi, finito in prigione, si prepara a giocare, una volta uscitone, il ruolo di docente di etica della finanza nelle più note business school. E’ il caso di Nick Leeson, responsabile di un colossale falso contabile finalizzato a coprire le proprie perdite sui derivati e che affossava Barings Bank. Infine, c’è chi dalla prigione non uscirà mai, ma trova comunque il modo di rimanere sulla scena. E’ il caso di un Madoff che, oltre ad apprestarsi a diventare docente -ovviamente‘a distanza’- di Harvard o Northwestern, ha recentemente avuto la possibilità di ripercorrere tutta la propria vicenda professionale con due autorevoli editorialisti del Financial Times. Il resoconto del tutto, che ha occupato ben tre pagine dello stesso quotidiano, porta ad alcune considerazioni relative alla fine e all’inizio dell’attività criminale del personaggio.
Sul piano poliziesco-giudiziario, la fine era segnata da un’autodenuncia del dicembre 2008, seguita immediatamente dall’arresto e poco dopo da una condanna a 150 anni di carcere. Le indagini avevano fatto emergere uno schema truffaldino à la Ponzi che aveva movimentato la cifra record di 65 miliardi di dollari; era altresì emerso che Madoff aveva saputo beffare clienti, collaboratori e perfino la SEC per oltre vent’anni grazie alle sue robuste competenze di contabilità e finanza. Ma perché, e questo è un primo interrogativo, nonostante quelle conoscenze, la vicenda è comunque arrivata al capolinea e lo stesso Madoff ha ritenuto di autodenunciarsi? La risposta sta nel fatto che uno schema à la Ponzi richiede una raccolta sempre crescente di nuovi capitali e se ciò è difficile in tempi normali, esso diventa impossibile in tempi di crisi finanziaria, quando una diffusa domanda di liquidità fa esplodere le richieste di riscatti. Sul piano operativo, la vicenda di Madoff arrivava al capolinea a fine 2008 perché la crisi subprime aveva causato una fortissima domanda di liquidità, come peraltro l’analoga vicenda di Kreuger era maturata nei primi anni Trenta per la caccia alla liquidità innescata dalla crisi finanziaria scoppiata nel 1929. Certi schemi truffaldini vengono inevitabilmente alla luce con il venire meno dell’abbondanza di liquidità, così come le carcasse vengono alla luce con il ridursi dell’acqua degli stagni.
Veniamo ora all’inizio della vicenda, ovvero alle ragioni del virare di Madoff dalla finanza corretta inizialmente praticata allo schema di Ponzi. Per comprendere l’interesse di quel passaggio, una premessa è d’obbligo. Solitamente una crisi finanziaria ha conseguenze che durano ben oltre la caduta dei mercati, e che sono di due tipi: 1) adozione di nuove norme finalizzate a render più difficile in futuro il verificarsi di una crisi analoga; 2) mutamento dell’attitudine degli operatori nei confronti del rischio, e che li può portare ad essere o più aggressivi o più cauti, con ciò andando a contrastare o rafforzare gli effetti delle innovazioni normative. Prendiamo il caso degli USA e la crisi del 1929. Da un lato si introducevano la separazione tra il commercial e l’investment banking, l’assicurazione sui depositi e la creazione della SEC; ma dall’altro una parte degli operatori finanziari si spostava all’estero per potere, ad esempio, continuare a vendere liberamente allo scoperto e creando così quegli hedge fund che successivamente hanno più volte acuito le tensioni finanziarie.
Un altro caso è quello della crisi dei titoli dotcom: da un lato s’introduceva la severa legge Sarbanes-Oxley, ma dall’altro la finanza individuava nel settore immobiliare un nuovo terreno di caccia, e ciò preparava la successiva crisi subprime.
Tornando a Madoff, la sua vicenda riporta a un’altra violenta crisi, quella del 19 ottobre 1987. Finora di quel traumatico evento conoscevamo solo le conseguenze positive della successiva introduzione del blocco automatico delle contrattazioni in caso di cadute consistenti dell’indice e del concepimento in casa JP Morgan della pratica del VaR a fini di risk management, e quindi di stabilità finanziaria. Ora la vicenda Madoff completa il discorso evidenziando anche una conseguenza negativa della stessa crisi: la virata verso lo schema à la Ponzi avveniva proprio all’indomani di quella crisi perché quattro suoi clienti dominanti iniziavano a pressarlo affinché ripianasse rapidamente le perdite dei loro portafogli. Prendeva corpo allora lo schema perverso del ‘trovare nuovi clienti per sistemare i vecchi’ che sarebbe esploso a fine 2008 confermando che, se non curata in profondità anche a livello di psicologia ed etica degli operatori, una crisi è destinata a incubarne una successiva.
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