Ancora ieri veniva ribadito in sedi molto autorevoli che le banche italiane hanno solida capitalizzazione e che soffriranno in misura limitata per l'entrata in vigore dei nuovi requisiti di capitalizzazione dell'accordo di Basilea III.
In realtà, è anche emerso che dovranno adeguare il loro capitale per almeno 40 miliardi di euro, mentre un'altra provvista di circa 12 miliardi dovrà essere destinata a rimpolpare il fondo di assicurazione sui depositi.
L'indice FTSE MIB a oggi ha perso circa il 2.4% negli ultimi 6 mesi. Nello stesso arco temporale, i titoli dei principali gruppi bancari italiani hanno vissuto performances estremamente deludenti: Unicredit -16%, Intesa Sanpaolo -9.5%, UBI -11%, Banca MPS -12%, Banco Popolare -29%, mentre l'indice settoriale FTSE Italia Banche è sceso del 12.8% circa.
I mercati quindi non condividono granché quelle rassicurazioni, anzi, sebbene rimangano piuttosto scettici sugli effetti realmente stabilizzanti delle nuove norme sul capitale delle banche (vedi per esempio nostri post qui e qui), continuano a punire i titoli delle banche (non solo italiane).
Questo probabilmente accade perché gli investitori sono convinti che di fronte agli effetti dell'ennesima tempesta finanziaria, questa volta del debito pubblico di alcuni paesi europei, il patrimonio degli intermediari bancari sia tutt'altro che sufficiente.
Quale migliore dimostrazione che anche sulla questione della patrimonializzazione delle nostre banche è tempo di abbandonare la retorica rassicurante e adottare rapidamente rigorosi provvedimenti di rinforzo, rivedendo per esempio i piani per le prossime distribuzioni di dividendi?
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