Nel contesto attuale, molte piccole e medie imprese da un lato avvertono l’esigenza di dover contare ancora di più sulla banca, dall’altro non considerano più la banca un interlocutore professionale e affidabile. Limitandoci all’interazione in materia di credito, in passato il no del banchiere poteva anche portare l’imprenditore a una sofferta ma utile riflessione, innescata da una certa predisposizione a pensare che quel no potesse anche avere un fondamento. Ora, quella predisposizione è più difficile da riscontrare, e il no viene spesso visto come risultato di logiche e dinamiche decisionali incomprensibili, comunque lontane dall’interesse strategico dell’azienda.
La severa crisi in corso impone a tutti, e quindi anche al banchiere, di riesaminare criticamente il proprio operato. Da quel riesame, egli non può non trarre l’indicazione di non avere sempre dispiegato comportamenti lineari e coerenti con l’impegnativo mandato fiduciario che la società ha riposto in lui e che lo vede rivestire i panni del sacerdote della crescita.
Il tema è troppo serio per essere richiamato con le nostre sole parole. Vorremmo allora riformularlo con il monito che il grande governatore Menichella rivolgeva proprio ai banchieri nel giugno del 1954 leggiamo:
"Il compito di direzione bancaria è affascinante perché è eminentemente creativo; ma le creazioni devono essere equilibrate e non ipertrofiche.
Mantenere ad una banca un sano equilibrio patrimoniale e reddituale è più meritorio di promuovere un eccessivo e pericoloso sviluppo; …
Conservate con gelosa cura la vostra libertà di giudizio, la vostra libertà di concedere o non concedere credito; se vi ponete nella condizione di perdere tale libertà per avere concesso troppo… ricordatevi di compiere l’atto di onestà di cedere ad altri, meno compromessi di voi, il vostro posto: avrete in tal modo reso alla banca il solo servigio che possa far scusare gli errori da voi concessi."
Il passaggio finale è di grande durezza, ma non può che essere così perché conseguente da un richiamo all’essenza dell’essere banchiere, ovvero al saper dire anche di no, ma in modo rigoroso, difendibile, e convincente. A questo riguardo, a solo a mo’ di esempio, e astraendo ovviamente dai frequenti casi di intervento delle procure, rileviamo che non è convincente il no del banchiere che:
- oggi dice di non avere più risorse da distribuire, ma ieri le ha impiegate in acquisizioni fatte con scarsa logica industriale o a prezzi irragionevoli, oppure le ha consegnate a prenditori grandi e non affidabili, e magari forzando le norme formali sulle parti correlate e quelle informali sugli affidamenti finalizzati a meri investimenti finanziari;
- non sapendo gestire i processi di segmentazione dell’operatività della clientela, finisce con il valutare le richieste di fido senza avere adeguatamente ricostruito il quadro dei rapporti complessivi dell’impresa con la banca;
- sull’informazione hard riguardante chi fa domanda di fido non sa opportunamente innestare l’informazione soft, magari sistematicamente dispersa con un’assurda, rapida turnazione del personale di rete.
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