Da diverso tempo studio l'andamento delle correlazioni tra indici azionari e tra asset classes, ricavando la certezza che siano sistematicamente mutanti.
I grafici in basso (click per ingrandire), preparati da Alessandro Penati (Quaestio Capital Management SGR) mostrano che negli ultimi anni la correlazione tra indici azionari internazionali è cresciuta notevolmente.
Come dimostra la mia analisi, di cui inserirò prossimamente degli stralci, ciò non necessariamente dipende da una maggiore integrazione globale dei mercati dei capitali. E' invece in larga misura un effetto legato ai movimenti dell'avversione al rischio, che è in parte legata al ciclo economico, e in parte alle condizioni di fragilità finanziaria e di liquidità dei mercati stessi.
31 ottobre 2011
28 ottobre 2011
Pensose domande agli investitori euforici di ieri (oggi un po' meno...)
1) Esattamente, chi o cosa fornirà i capitali necessari alla ripatrimonializzazione delle banche, a partire da quelle italiane?
2) E' certo che l'haircut del 50% "volontariamente" proposto ai detentori privati di bonds greci non faccia scattare la dichiarazione di default event a partire dalla quale i contratti di copertura da tale rischio dovranno essere onorati?
3) Da dove verranno i fondi non a leva necessari per il prospettato aumento della dotazione EFSF?
4) Quali sono le previsioni più sincere per la crescita del PIL e per i saldi di bilancio di Italia e Grecia nel 2012?
5) Perchè la BCE ha comprato titoli del debito pubblico italiano anche ieri, e come mai l'asta dei titoli a tre anni di questa mattina ha visto un tasso medio del 4.93%, più altro del 4.68% pagato a fine settembre, e con un misero bid-to-cover ratio di 1.27 (il BTP a 10 anni implica oggi un rendimento poco al di sotto del 6%, massimo dal 1997)?
2) E' certo che l'haircut del 50% "volontariamente" proposto ai detentori privati di bonds greci non faccia scattare la dichiarazione di default event a partire dalla quale i contratti di copertura da tale rischio dovranno essere onorati?
3) Da dove verranno i fondi non a leva necessari per il prospettato aumento della dotazione EFSF?
4) Quali sono le previsioni più sincere per la crescita del PIL e per i saldi di bilancio di Italia e Grecia nel 2012?
5) Perchè la BCE ha comprato titoli del debito pubblico italiano anche ieri, e come mai l'asta dei titoli a tre anni di questa mattina ha visto un tasso medio del 4.93%, più altro del 4.68% pagato a fine settembre, e con un misero bid-to-cover ratio di 1.27 (il BTP a 10 anni implica oggi un rendimento poco al di sotto del 6%, massimo dal 1997)?
25 ottobre 2011
The world-wide web of debt
In basso, una magnifica, un po' ingombrante, infografica del New York Times chiarisce i più importanti canali di interdipendenza tra debiti pubblici e sistema finanziario globale. E pensare che si tratta solo di una drastica semplificazione...
21 ottobre 2011
20 ottobre 2011
Sic transit gloria mundi...
Le analisi di questo blog hanno una prospettiva di lungo termine, ma oggi facciamo un'eccezione, dato che gli eventi legati al vertice europeo sull'EFSF e sulla crisi del debito avranno conseguenze permanenti, nel bene o nel male.
Nel grafico in basso (click per ingrandire) trovate l'andamento dei prezzi del BTP 4.75% con scadenza settembre 2021 (il decennale).
La quotazione degli ultimi tre giorni è un vero tracollo, punteggiato da interventi quotidiani della BCE (cerchiati in verde), come si vede efficaci solo per consentire a chi voleva uscire dal mercato di farlo limitando le perdite....
Nel grafico in basso (click per ingrandire) trovate l'andamento dei prezzi del BTP 4.75% con scadenza settembre 2021 (il decennale).
La quotazione degli ultimi tre giorni è un vero tracollo, punteggiato da interventi quotidiani della BCE (cerchiati in verde), come si vede efficaci solo per consentire a chi voleva uscire dal mercato di farlo limitando le perdite....
18 ottobre 2011
Incertezza e spesa pubblica
Gli
ultimi anni hanno insegnato che nelle previsioni economiche è preferibile
mantenersi prudenti, perché l’incertezza domina l'evoluzione futura dei mercati
e delle economie. Individui, famiglie, imprese, gli stessi Stati nazionali fronteggiano
oggi una fase di accentuata volatilità, che si riverbera negativamente sulle
decisioni di tutti questi attori.
Tutta
questa incertezza deriva dal fatto che la Grande Crisi del 2008 ha accelerato una
trasformazione strutturale dell'economia già in corso. Progresso tecnico,
globalizzazione, spostamento verso est del baricentro produttivo e
invecchiamento demografico sono processi permanenti, ma con la Crisi i loro
effetti, e i loro costi, sono diventati più significativi, specialmente per
alcuni ceti sociali e per alcuni paesi. Interi settori industriali sono in via d’estinzione.
Diverse occupazioni sono divenute obsolete o ridondanti; le fragilità di alcuni
sistemi produttivi nazionali, e del loro welfare, sono per alcuni paesi ancora
più insostenibili di quanto non fossero poco tempo fa. La geografia stessa
della produzione e dello scambio mondiali sta rapidamente mutando, promuovendo
nuovi protagonisti (asiatici e latino-americani) e mettendo in forte difficoltà
sistemi storicamente dominanti (vecchia Europa). Questi turbinosi cambiamenti creano
opportunità, timori, ma soprattutto incertezza.
Quanto
emerge dalle nebbie di questo tempo non somiglia per nulla ad una ripresa
economica stabile e duratura. Le economie dei paesi occidentali vivono e vivranno
ancora almeno per il 2012 una persistente debolezza. I paesi emergenti
continueranno a crescere più vigorosamente di noi, ma meno di quanto abbiano
fatto negli ultimi due anni. Consumi, investimenti e commercio internazionale a
loro volta si indeboliranno.
Il
nostro paese è tra i più esposti a questi rischi, e al tempo stesso quello più
vulnerabile alla questione oggi più importante, cioè la sostenibilità delle
finanze pubbliche.
Il
vasto debito che abbiamo potrebbe essere ridotto se il paese crescesse a tassi
tripli o quadrupli di quelli degli ultimi 10 anni. Se invece continuasse la scadente
crescita economica recente, ci ritroveremmo in una prospettiva greca o argentina.
Per evitarla, occorre far salire le entrate pubbliche, tagliare la spesa, o
combinare le due cose. Ora, tutti ci auguriamo una sconfitta dell’evasione
fiscale, che però non sarà possibile a breve, né senza fondamentali revisioni
del nostro sistema giuridico e un irrobustimento del contratto sociale che lega
gli Italiani allo Stato. Queste cose richiedono, oltre che volontà, molto
tempo, e non è scontato che riescano. Quindi, restano essenzialmente l’aumento
della pressione fiscale sui ceti che già pagano le tasse, oppure una
diminuzione significativa delle spese. Complessivamente, la seconda via può fornire
una soluzione meno iniqua e strutturale al problema. Ed eliminare una
consistente fonte di incertezza.
7 ottobre 2011
Lo stress fa male...
Londra, 6 ottobre 2011, conferenza di Bank of America Merrill Lynch, presentazione di Corrado Passera, Chief Executive Officer di Intesa SanPaolo.
Il supermanager è impegnato a dimostrare la robustezza della patrimonializzazione di Intesa. Per farlo lancia una slide che colloca l'Istituto al quarto posto in Europa tra le maggiori banche per Core Tier 1 Ratio secondo gli stress test EBA.
Tutto molto brillante.
E surreale, perchè, come si vede dalla slide incriminata in basso (click per ingrandire), al primo posto di quei test-farsa si trova...Dexia!
Ricordiamo a quanti si fossero distratti che si tratta di una grossa banca franco-belga, già semi-nazionalizzata dopo la sua prima insolvenza di fatto alla fine del 2008, e per la quale i due governi europei esitano in questi giorni a imporre un secondo, più esteso salvataggio per paura che le conseguenze sulla fragilità fiscale di Francia e Belgio possano scatenare un downgrade del loro merito creditizio sovrano...
Il supermanager è impegnato a dimostrare la robustezza della patrimonializzazione di Intesa. Per farlo lancia una slide che colloca l'Istituto al quarto posto in Europa tra le maggiori banche per Core Tier 1 Ratio secondo gli stress test EBA.
Tutto molto brillante.
E surreale, perchè, come si vede dalla slide incriminata in basso (click per ingrandire), al primo posto di quei test-farsa si trova...Dexia!
Ricordiamo a quanti si fossero distratti che si tratta di una grossa banca franco-belga, già semi-nazionalizzata dopo la sua prima insolvenza di fatto alla fine del 2008, e per la quale i due governi europei esitano in questi giorni a imporre un secondo, più esteso salvataggio per paura che le conseguenze sulla fragilità fiscale di Francia e Belgio possano scatenare un downgrade del loro merito creditizio sovrano...
La norma e l'estremo
Ci sono due modi
possibili di spiegare i fenomeni di turbolenza economico-finanziaria dal punto di vista statistico.
Il primo è di escludere
lo straordinario e concentrarsi sulla normalità. L’analista lascia da parte gli
outliers e studia i casi ordinari.
Il
secondo approccio consiste nel rilevare che la comprensione profonda di un
fenomeno necessita di un'accurata considerazione degli estremi, in misura
particolare se essi comportano effetti cumulati straordinariamente rilevanti.
Come ricorda spesso Nassim N. Taleb, Si può misurare il pericolo che un criminale pone solo basandosi su quello che
fa in un giorno normale? Si può capire la salute senza considerare le malattie
più estese e le epidemie?
Di fatto, per i mercati finanziari la normalità è quasi
irrilevante, come rivelano anche nostre semplici elaborazioni. Nel periodo
Gennaio 1871 - Agosto 2011 i rendimenti mensili sull’indice azionario S&P
Composite compresi tra il -1% e l’1% sono solo 488 su 1688 mesi di dati. Quelli
compresi tra -5% e il 5% sono 1430, il che significa che oscillazioni così
ampie interessano più del 15.3% del campione. Il dato colpisce in maniera
particolare perché il semplice rendimento medio mensile annualizzato è inferiore
al 4%. Le ultime nove sedute di borsa hanno visto una variazione dell'indice DJIA superiore a 100 punti. Non è un caso isolato, ma per ritrovare una sequenza analoga di volatilità così pronunciata bisogna tornare indietro a...Novembre 2008.
4 ottobre 2011
60 anni di inflazione e PIL
In un lavoro scritto insieme a A. Del Boca, M. Fratianni e F. Spinelli, Macroeconomic instability and the Phillips Curve in Italy, investighiamo l'esistenza della classica relazione di Phillips tra inflazione e crescita del reddito aggregato nell'Italia del secondo dopoguerra.
Impiegando varie tecniche empiriche per stimare la relazione nel periodo dal 1949 al 2010, le nostre stime evidenziano l'inesistenza di un'associazione stabile, statisticamente significativa e positiva tra prezzi e output. Basta dare un'occhiata, nel grafico in basso (click per ingrandire), a come le due misure di ciclo economico (YGAP) tendano a muoversi spesso in antitesi rispetto all'inflazione (INF), per una conferma visuale di questa regolarità.
La nostra analisi attribuisce questo risultato, apertamente in contrasto con l'evidenza internazionale e con altri contributi relativi all'Italia, a una situazione macroeconomica caratterizzata a lungo da una politica monetaria largamente dominata dalle esigenze di finanziamento (monetizzazione parziale) dei deficit fiscali e al rigido meccanismo di indicizzazione dei salari incorporato nella famosa Scala Mobile. La combinazione tra queste due caratteristiche contribuì in misura fondamentale alla persistente distorsione inflazionistica e all'instabilità macroeconomica che durò quasi fino all'ingresso dell'Italia nell'Unione Monetaria Europea.
Non che quest'ultima abbia propriamente risolto tutti i nosti problemi macroeconomici...
Impiegando varie tecniche empiriche per stimare la relazione nel periodo dal 1949 al 2010, le nostre stime evidenziano l'inesistenza di un'associazione stabile, statisticamente significativa e positiva tra prezzi e output. Basta dare un'occhiata, nel grafico in basso (click per ingrandire), a come le due misure di ciclo economico (YGAP) tendano a muoversi spesso in antitesi rispetto all'inflazione (INF), per una conferma visuale di questa regolarità.
La nostra analisi attribuisce questo risultato, apertamente in contrasto con l'evidenza internazionale e con altri contributi relativi all'Italia, a una situazione macroeconomica caratterizzata a lungo da una politica monetaria largamente dominata dalle esigenze di finanziamento (monetizzazione parziale) dei deficit fiscali e al rigido meccanismo di indicizzazione dei salari incorporato nella famosa Scala Mobile. La combinazione tra queste due caratteristiche contribuì in misura fondamentale alla persistente distorsione inflazionistica e all'instabilità macroeconomica che durò quasi fino all'ingresso dell'Italia nell'Unione Monetaria Europea.
Non che quest'ultima abbia propriamente risolto tutti i nosti problemi macroeconomici...
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