Qualche settimana fa il ministro per lo sviluppo economico, infrastrutture e trasporti, Corrado Passera, ha candidamente confessato in TV che sul tavolo non ci sono grandi idee in grado di dare una prospettiva di crescita solida all'economia italiana. Con questa confessione fa il paio la più recente decisione del governo italiano di chiedere ai cittadini di suggerigli via web come tagliare la spesa pubblica.
Riteniamo che entrambe le cose siano piuttosto sconfortanti, anche perchè la mitica casalinga di Voghera, magari interpellata per telefono invece che via internet, avrebbe potuto suggerire una o due buone idee in cambio di un tantino di umiltà in più da parte di qualche "tecnico". Ci permettiamo di dire molto, molto sinteticamente anche la nostra, come al solito pensando in grande e per il lungo periodo.
Il nostro Paese ha, come altri sistemi economici di solida tradizione industriale, la possibilità di sfruttare in pieno una serie di tendenze molto vigorose nell'economia globalizzata di oggi, e potenzialmente di vivere un'espansione sostenuta del numero di posti di lavoro produttivi. Si tratta del ruolo trascinante delle tecnologie di informazione e comunicazione, delle energie rinnovabili e a basso costo, e una domanda fortemente in crescita sui mercati emergenti per beni e servizi ad elevato valore aggiunto, tra cui molte nostre produzioni manifatturiere. Aggiungiamo anche un pervicace interesse degli stessi mercati per varie produzioni semi-artigianali del cosiddetto Made in Italy.
Ora, occorre riformare presto il nostro sistema economico e politico per cogliere al meglio queste opportunità di crescita. Anche qui, non ci sono formule magiche segrete: l'Italia deve migliorare sensibilmente la produttività della sua forza lavoro e delle sue imprese, rafforzare il contesto produttivo in una logica di innovazione continua, e riqualificare il proprio settore creditizio per metterlo realmente al servizio dell'innovazione e delle imprese. Per realizzare tutte queste cose bisogna drasticamente ridurre il peso complessivo del settore pubblico nell'economia, intendendo con ciò che il debito e la spesa pubblici dovrebbero essere ricondotti verso livelli compatibili con una bassa imposizione fiscale complessiva. Ma anche che l'intervento diretto delle pubbliche amministrazioni nella produzione dei beni e servizi, dalle utilities all'allocazione del credito, dovrebbe altrettanto drasticamente calare. Il tutto per iniettare una sana dose di concorrenza e competitività nel tessuto economico mediamente sonnolento del Paese.
Concordiamo che un'agenda riformista del genere si scontra con mille interessi particolari e altrettante lobbies, ma finora non abbiamo visto azioni credibilmente e coerentemente orientate a spezzare queste resistenze.
Forse abbiamo sbagliato agenda...
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