Tra gli analisti finanziari americani è ormai dominante la convinzione che agli inizi di novembre la Federal Reserve varerà un nuovo programma di quantitative easing, attraverso l'acquisto di titoli del Tesoro americano e altre attività finanziarie, forse anche private.
Lo scopo dichiarato dello stimolo in questione è quello di favorire ulteriormente le condizioni di accesso al credito da parte di imprese e famiglie, quindi sostenendone la domanda di investimenti e consumi.
Poiché i tassi di interesse, a breve come a lunga scadenza, sono già ai minimi storici di lunghissimo periodo (il rendimento sul T-bond decennale ha toccato il 2.3% qualche giorno fa) diversi economisti, anche all'interno della Fed, si interrogano sui benefici della manovra.
Nessuno conosce gli effetti di politiche eterodosse così estese, che con i round precedenti hanno portato a una triplicazione del bilancio della Fed.
Ci sono poi interrogativi sulle reali intenzioni della Fed. Le aspettative inflazionistiche di lungo termine hanno cominciato a muoversi verso l'alto, evidenziando quindi che i mercati un certo impatto inflazionistico lo intravvedono. Secondo alcuni però il vero obiettivo della Fed sarebbe un boost poderoso alle valutazioni di alcune categorie di asset, la cui rivalutazione sarebbe vista come cruciale per far ripartire, principalmente attraverso un effetto ricchezza, ma non solo, la domanda aggregata.
Quotazioni azionarie e immobiliari in forte ripresa potrebbero veramente essere i principali beneficiari del QE2. Tuttavia, i principali indici azionari sembrano aver già anticipato almeno una parte di questa ulteriore somministrazione di "liquidità ad alto potenziale". Le quotazioni immobiliari tendono a reagire più lentamente, mentre la discesa dei rendimenti sui bonds e l'impennata di oro e alcune materie prime segnalano che un primo rally da QE2 alcuni mercati lo hanno già vissuto.
Ci sono diversi rischi. Primo, il dollaro USA potrebbe accelerare il suo deprezzamento, innescando una rincorsa multilaterale alla svalutazione che alla fine danneggerebbe la domanda aggregata di tutti i Paesi. Secondo, se le aspettative di inflazione e di instabilità valutaria e finanziaria dovessero riprendere corpo, l'effetto netto sui tassi di interesse potrebbe addirittura essere al rialzo, con evidenti ripercussioni negative su congiuntura e finanza pubblica. Terzo, l'uscita dalla recessione 2007-2009 è da attribuire in larga parte a manovre fiscali e monetarie a grande scala, dalle quali l'espansione economica sembra essere diventata dipendente, con ovvie controindicazioni.
Infine, è prudente far decidere alla banca centrale il livello "giusto", cioè coerente con l'equilibrio macroeconomico, di valutazione degli asset?
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