C'è un istruttivo parallelo tra la proposta della Commissione Europea sulla "governance economica" dell'Unione Europea, in particolare le parti concernenti i meccanismi di regolazione e sanzione degli squilibri di bilancio pubblico degli Stati Membri, e quella comunemente nota come "Basilea III", che riguarda i requisiti minimi di capitale delle banche.
Le autorità preposte si sono date il compito di progettare meccanismi in grado di impedire, rispettivamente, l'accumulo di deficit e debiti pubblici eccessivi, e il ripetersi di una crisi finanziaria sistemica come quella del 2007-2009. Il risultato più importante delle elaborate discussioni e contrattazioni sono due regole.
Basilea III fissa un nuovo rapporto minimo di capitale del 4.5%, più del doppio del livello previsto correntemente (2%), più un ulteriore 2.5%. Le banche il cui capitale ricade al di sotto di questo numero dovranno limitare la distribuzione di dividendi e bonus discrezionali; quindi il requisito effettivo è del 7%. Le nuove regole si applicheranno a partire dal Gennaio 2013 e diverranno definitive nel Gennaio 2019.
Il 7% rappresenta un cuscinetto troppo esile in presenza di perturbazioni dei mercati finanziari come quelle cui assistiamo da più di tre anni. In presenza di continua innovazione finanziaria, incertezza regolamentare e rischio sistemico da moral hazard (altro problema malamente affrontato dalle autorità nazionali e internazionali), sarebbe stato molto più appropriato identificare rapporti del 15 o 20% e centrarli su categorie "solide" di capitale, come le azioni. Inoltre, dare alle banche ben nove anni per adeguarsi alle nuove regole e forse per annacquarle attraverso attività di lobbying o cattura dei regolatori significa esporre il sistema finanziario al rischio di nuovi scossoni in presenza di altri episodi di instabilità finanziaria, sempre più frequenti.
Invece, la proposta della Commissione Europea, ancora in fase di rinegoziazione, fissa una serie di meccanismi disegnati per limitare un'eccessiva espansività delle politiche fiscali degli Stati Membri. Questi ricevono addirittura sanzioni pecuniarie se deficit e debiti nazionali non si incamminano su un percorso di convergenza su livelli bassi, come il 60% per il rapporto debito pubblico/PIL. Tuttavia, al termine di un'intensa attività di horse trading, la proposta prevede anche che le sanzioni e i vincoli vengano parecchio mitigati se il paese in questione vive una condizione di particolare stress macroeconomico, oppure se ha un livello contenuto di debito privato, e altro ancora. Insomma, da simulazioni ex post, pare che nessuno degli attuali Stati Membri rischi al momento di essere seriamente "richiamato".
La mancanza di credibilità dei meccanismi sanzionatori è chiaramente il limite comune di Basilea III e delle regole europee. Le nuove regole sul capitale sarebbero davvero efficaci se riuscissero a far scendere in misura significativa e molto prima del 2019 la quota dei profitti dell'industria finanziaria sui profitti totali dell'economia, e se soprattutto gli intermediari più grandi fossero costretti a rinunciare a quote importanti dei profitti per irrobustire fino appunto al 15-20% la propria capitalizzazione.
Se tre dei quattro paesi con il più alto rapporto debito pubblico/PIL al mondo (Italia, Grecia e Belgio) non rientrano tra i "cattivi" secondo la nuova governance economica europea, non si capisce che effetto disciplinante essa possa esercitare. Anche perchè i primi a violare la versione precedente di queste regole, il Patto di Stabilità e Crescita, furono i maggiori Paesi EU, Francia e Germania in testa, già nel 2002-2003.
In entrambi i casi si potrebbe parlare quindi di cheap talk, ossia di chiacchiericcio gratuito, sterile perché incapace di risolvere effettivamente i problemi. In realtà, visto che la fiducia nell'industria finanziaria e nel futuro stenta a ritornare tra investitori e consumatori, e visto che qualche effetto negativo i grandi debiti pubblici continuano ad esercitarlo, queste chiacchiere sono tutt'altro che cheap.
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