Sul Corriere della Sera di oggi Massimo Mucchetti riferisce di un rumour che vede una possibile aggregazione tra Unicredit e Banca Intesa San Paolo. In una certa misura il columnist del Corsera benedice l'operazione, motivandola con la necessità di dare alle due banche - in particolare a Unicredit - una nuova e meglio definita direzione.
This is nonsense. Come abbiamo scritto più volte (v. Too big to lend),
la dimensione assurdamente esagerata delle prime cinque banche italiane, la loro fragilità patrimoniale e la mancanza di loro contendibilità impedisce alle banche stesse di esercitare senza distorzioni e inefficienze la funzione per cui in teoria esistono: intermediare i flussi finanziari.
Fondere due grandi grosse inefficienti e politicizzate istituzioni come Unicredit e Intesa significherebbe unicamente moltiplicare per due o tre volte i loro problemi e soprattutto le perdite di efficienza per il nostro sistema economico di cui sono già oggi responsabili. Esattamente quanto avvenuto tra 2000 e 2005, con la nascita degli attuali grandi gruppi bancari.
La strada più razionale è invece quella opposta: smontare i grandi gruppi e riorientare quanto ne risulta verso l'attività creditizia tradizionale. L'aspetto confortante è che questa soluzione oggi è particolarmente evidente anche a molti azionisti delle banche e ai mercati: la somma dei valori delle singole parti degli attuali gruppi è pari a un bel multiplo della capitalizzazione media di borsa dei gruppi stessi.
Quindi, l'orientamento verso gruppi bancari ancora più grandi, per quanto ben propagandato anche da "autorevoli" opinionisti di giornali in evidente conflitto di interessi (Intesa è tra gli azionisti di controllo del Corsera, e uno dei grandees del suo patto di sindacato), appare un assurdo essenzialmente improbabile. Anche se non impossibile, in una Paese come il nostro.
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