26 marzo 2013
Lo spread e il solido Paese
I mercati finanziari italiani continuano ad essere molto intimoriti dalla possibilità di un nuovo downgrade del debito sovrano o dei rating delle nostre banche da parte di Moody's. Tuttavia, l'evidenza empirica ci dice che le agenzie di rating danno sì giudizi mediamente equilibrati ma altrettanto mediamente in ritardo
sulla probabilità di insolvenza. In altri termini, la situazione macroeconomica del nostro Paese potrebbe già essere molto peggiore di quanto quegli eventuali giudizi sintetici possano o vogliano dire.
Per esempio, il grafico in basso (click per ingrandire) conferma che a differenza che in altri paesi in sofferenza debitoria, l'Italia continua a non registrare miglioramenti nella propria posizione competitiva, e in particolare vede ulteriori aumenti nei costi unitari del lavoro:
Molto più di ratings o spread, che guardano solo alla situazione dei conti pubblici (comunque estremamente problematica), contano gli indicatori fondamentali. Siamo una delle sole due economie dell’EMU in cui il PIL
reale pro capite sia sceso dall’introduzione dell’euro. L'Italia è 169° su 179 paesi per crescita PIL pro capite dal 2000. World Economic Forum competitiveness ranking: 42°. World Bank’s ease of doing business: 73°. Ranking internazionali sulla performance scolastica e sulla diffusione dell’istruzione superiore: dal 25° posto in giù.
Persino questi risultati così neri rischiano di sottovalutare la realtà, perchè sostanzialmente basati su dati di diversi anni fa, quando alcune cose ancora non andavano così male... L'Italia non è un paese solido, è un paese solidamente nei guai!
I fondamentali reali dell'Italia sono ormai quelli tipici di un paese che non può permettersi il livello di consumi e redditi di Germania, Stati Uniti, UK, ecc.. Quindi, o si applicano cambiamenti molto drastici al nostro sistema economico e sociale (taglio significativo della spesa pubblica in primis, con conseguente riduzione della pressione fiscale), oppure ci si rassegni a diventare un paese relativamente povero. Alla fine le cose cambieranno in bene, ma non prima di aver toccato un doloroso fondo sul quale, evidentemente, ancora non ci siamo adagiati.
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