1 marzo 2012

I guastafeste, parte seconda


Tutto è bene quel che finisce bene. La BCE ha allocato 529.5 miliardi di liquidità alle banche (un centinaio solo a quelle italiane), gli spread sui titoli spagnoli e italiani continuano a comprimersi, le borse del Mediterraneo europeo festeggiano.

E invece no. Tre piccole-grandi notizie di oggi confermano che la dinamica di spread e azioni può staccarsi notevolmente e persistentemente dalla realtà, in presenza della montagna di finanziamenti straordinari cui stanno accedendo le banche.

Uno: la disoccupazione europea è stata in gennaio ai massimi degli ultimi 15 anni, al 10.7% (9.2 in Italia, massimo dal 2004). Per quanto un indicatore molto approssimativo del reale stato del mercato del lavoro, il tasso di disoccupazione ha raggiunto tetti vertiginosi per una potenza industriale avanzata; al massimo esso sottostima la reale difficoltà di trovare un lavoro.

Due: nonostante la disoccupazione, l'inflazione dell'eurozona si è inerpicata al 2.7% in febbraio. Per essere nel mezzo della più grave crisi economica dagli anni '30, le tensioni inflazionistiche sono molto significative e persistenti.

Tre: il Purchasing Managers' Index del settore manifatturiero europeo, un indicatore anticipatore della congiuntura indistriale, evidenzia in aggregato un livello ancora tendente alla recessione, soprattutto nei paesi euro-periferici.

E' quindi abbastanza verosimile che l'esuberanza di alcuni segmenti dei mercati finanziari (titoli di stato, azioni, credito) è il riflesso di una provvista pressocchè gratuita di fondi, cortesia della BCE, piuttosto che di reali miglioramenti nel quadro fondamentale.

Torniamo a sottolineare che dei tre grandi problemi strutturali di buona parte delle economie dell'eurozona (debiti sovrani eccessivi, debolezza competitiva, sottocapitalizzazione delle banche), la LTRO della BCE non ne "cura" neanche uno. L'operazione serve al massimo a far guadagnare tempo agli intermediari finanziari per mitigare la loro esposizione nei confronti del debito sovrano traballante, e ai governi di Grecia, Spagna e Italia per implementare riforme strutturali. Che poi questi ultimi riescano effettivamente ad applicarle, e che se ne vedano i benefici, in termini di competitività e crescita delle rispettive economie reali, questo è un'altra questione.

Il grafico in alto (click per ingrandire) infatti mostra come anche nel 2011, anno di tagli e riforme strutturali per le economie PIIGS, la loro competitività (misurata in termini di costi nominali unitari del lavoro) non è significativamente migliorata (e per l'Italia è addirittura peggiorata). Ci auguriamo tutti che questa tendenza si inverta presto, ma temiamo che i tempi, e la probabilità di questo turnaround non siano compatibili con quelli di mercati finanziari sempre guardinghi...

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