21 dicembre 2012

La Grande Crisi Spagnola - Documentario

Dalla BBC, un documentario ben fatto sulle origini della crisi finanziaria e fiscale della Spagna. Con diversi spunti di riflessioni anche per noi...


14 dicembre 2012

2000 anni in un grafico

Da The Economist (click per ingrandire):




11 dicembre 2012

Perchè laurearsi conta!

Esiste una consistente evidenza empirica a sostegno dell'idea che l'acquisizione di competenze evolute con l'istruzione superiore offra in media ai lavoratori maggiori opportunità di lavoro e di guadagno.
Il grafico in basso (click per ingrandire) è solo un esempio di questa corposa letteratura.

Si tratta di evidenza relativa agli USA, e come tale va scontata per l'impatto di fattori istituzionali e specifici del paese in questione che sicuramente hanno un peso nel determinare potenziali deviazioni per altri sistemi economici.

8 dicembre 2012

L'effetto Draghi sulle azioni

Bastano le cifre della tabella in basso (click per ingrandire) per rendersi conto che l'andamento dei mercati azionari europei di quest'anno deve il suo segno positivo essenzialmente agli annunci di Mario Draghi nel suo ormai famoso discorso "whatever it takes" in salvataggio dell'euro. Lo conferma il fatto che la positività della performance del mercato azionario italiano sia legata strettamente all'andamento dello stesso segno degli ultimi mesi.


Analogamente, in pratica tutti i rialzi dei mercati azionari occidentali possono essere spiegati con annunci o interventi straordinari delle banche centrali. Ovviamente tutto ciò è insostenibile...

6 dicembre 2012

Il male

Impossibile trovare un'immagine più plastica del male italiano. Frivolamente riunito a Milano in occasione della presentazione di un volume di memorie di Cesare Geronzi, il "gotha" bancario-finanziario italiano si mostra ancora una volta in tutta la sua insostenibile mancanza di legittimità e di morale (foto-collage di Dagospia).


La foto di gruppo ha al centro un manipolo di ultrasettantenni (e qualche loro figlio), privi di capitali propri, sostanzialmente insolventi fin dalla nascita, per 3/4 indagati o condannati per reati finanziari o contabili, saldamente legati alle rispettive poltrone da generazioni di regolatori inadempienti o "catturati", politici comprati e giornalisti addomesticati.

2 dicembre 2012

E' la spesa, bellezza!

Nel grafico in basso (click per ingrandire) si mostra l'andamento delle entrate fiscali e della spesa dell'Italia dal 1980 a oggi. Le serie sono aggiustate per il ciclo e definite in percentuale del PIL potenziale secondo lo standard ESA 1995.


La spesa ha evidenziato una promettente riduzione dal 55% circa superato nel 1993 al 46% del 2000, per poi avviarsi su un lento ma inesorabile riavvicinamento a quota 50%, da cui non si è significativamente allontanata neanche con le manovre "lacrime e sangue" degli ultimi due anni.

23 novembre 2012

QE: rendimenti decrescenti

I mercati azionari USA, a mezzo servizio causa festa del Ringraziamento, oggi vivono una seduta quasi euforica. Di sicuro qualche segnale leggermente più confortante sullo stato dell'economia americana nelle ultime settimane è arrivato, ma è difficile dire se le quotazioni attuali del mercato non scontino già queste buone notizie, o se addirittura non ci si trovi già su livelli generosi di valutazione dei cash flows.

Quello che invece si può dire, guardando al grafico in basso (click per ingrandire) è che le manovre straordinarie di politica monetaria della Fed (Quantitative Easing) evidenziano effetti chiari, ma sempre meno stimolanti sulle quotazioni di mercato azionario.


16 novembre 2012

Reagire: storie di giovani innovatori per battere il declino

PER SCARICARE LE SLIDES CLICCARE QUI, QUI E QUI
INVITO EVENTO (PDF)

Il Centro Studi di Economia Monetaria e Bancaria e AIB - Gruppo Giovani Imprenditori organizzano per mercoledì 21 novembre, ore 16

REAGIRE: STORIE DI GIOVANI INNOVATORI CHE INSEGNANO A BATTERE IL DECLINO

Aula Magna - Dipartimento di Economia e Management
Contrada Santa Chiara 50 - Brescia

7 novembre 2012

Il "caso Italia"

SLIDES INTERVENTO DOTT. SALVATORE ROSSI

Magistrale intervento di Salvatore Rossi, Vice Direttore della Banca d'Italia, al nostro Dipartimento di Economia e Management. Oggetto: la posizione competitiva del sistema produttivo italiano nel contesto delle grandi trasformazioni del sistema industriale globale. Tante ombre, qualche razionale motivo di ottimismo, circostanziato.

1 novembre 2012

Il Corriere dell'Intesa

Sul Corriere della Sera di oggi Massimo Mucchetti riferisce di un rumour che vede una possibile aggregazione tra Unicredit e Banca Intesa San Paolo. In una certa misura il columnist del Corsera benedice l'operazione, motivandola con la necessità di dare alle due banche - in particolare a Unicredit - una nuova e meglio definita direzione.

This is nonsense. Come abbiamo scritto più volte (v. Too big to lend),

29 ottobre 2012

Un pizzico di realismo

Cosa manca davvero alla politica economica italiana? Soprattutto una visione realistica e concreta della situazione macroeconomica del Paese. Che è allo stremo sul piano dei consumi, in avvitamento recessivo per quanto concerne gli investimenti, e che non riesce con le sole esportazioni a compensare le tendenze alla contrazione delle altre componenti della domanda.


Debito pubblico: stiamo sudando sette camicie per cercare di convincere i mercati a continuare a

22 ottobre 2012

Italia, the odd one out

I tre paesi con le aliquote fiscali effettive più elevate del mondo sono anche tra i paesi dal debito pubblico più elevato: Belgio, Grecia, Italia. Immediatamente dopo (v. grafico dell'Economist su dati KPMG, click per ingrandire) vengono economie tradizionalmente caratterizzate da welfare state molto estesi: Germania, Danimarca, Francia.




16 ottobre 2012

Istantanee dal mercato monetario

Un meccanismo di trasmissione della politica monetaria chiaramente inceppato anche al di là dell’Atlantico … e che prepara problemi per domani (click per ingrandire).






15 ottobre 2012

Ascesa (e caduta?) della finanza

In basso il link alla corposa trasposizione video del noto volume di Niall Ferguson "The Ascent of Money: A Financial History of The World". Uno di quei casi in cui passare a una visione complessiva e generale di un fenomeno ne amplifica, e di molto, la comprensione.


Chi invece avesse un interesse più modesto, limitato alle origini della crisi finanziaria del 2007-2009, può godersi il magnifico documentario in quattro episodi "Meltdown" di Al Jazeera. Segue link al primo episodio.

 

9 ottobre 2012

La propaganda non porta lontano

Le proiezioni appena pubblicate dal Fondo Monetario Internazionale riguardanti l'Italia sono particolarmente buie. La prima tabella in basso (click per ingrandire) contiene le previsioni di crescita del PIL; per l'Italia è previsto un -2.3% per quest'anno e -0.7% per il prossimo. Si tratta di numeri molto negativi, soprattutto il secondo. Per il primo, l'ultimo sondaggio di The Economist tra le maggiori banche internazionali presenta risultati ancora più crudi. Quel che è certo è che in assenza di sorprese positive, anche il prossimo anno dovrebbe essere di recessione per il nostro Paese e per la Spagna tra i grandi membri dell'Unione Europea.


4 ottobre 2012

Blanchard l'ottimista e il treno alla fine del tunnel

Gli studenti del mio corso di Macroeconomia saranno incuriositi da una recente dichiarazione dell'autore del loro manuale di studio, Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale. Il noto economista francese è celebre anche per essere un brillante ottimista rispetto alla maggior parte degli analisti, accademici e non.

Tuttavia, in un'intervista diffusa ieri da Reuters, Blanchard conferma che gli effetti della crisi iniziata

2 ottobre 2012

Too big to lend

La quantità di fondi a disposizione delle banche commerciali italiane che queste decidono di "parcheggiare" presso la Banca Centrale Europea come riserve anzichè destinare a impieghi come prestiti alle famiglie e alle imprese è a livelli vicini ai massimi storici. Superate grazie alle operazioni di rifinanziamento straordinario della BCE le tensioni sulla raccolta manifestatesi lo scorso anno, le banche avrebbero molti margini per incrementare il flusso di prestiti all'economia reale.



E' vero, anche la domanda di prestiti è in forte contrazione a causa della recessione, ma l'impressione prevalente,

25 settembre 2012

La ricchezza delle nazioni e la causalità inversa

Un grafico preparato da The Economist (click per ingrandire) illustra molto bene l'esistenza di una relazione positiva, anche se non lineare, tra una delle più note misure di competitività internazionale e il PIL pro capite. 


In altri termini, a livelli più elevati di competitività cross-country si associa un livello più alto di reddito. La relazione è piuttosto chiara. Tuttavia, a un livello molto semplice di analisi, il rischio che la cusalità vada, piuttosto che dalla competitività alla generazione di ricchezza, in direzione opposta, è molto alto. Un critico arguto potrebbe cioè obiettare con qualche fondamento che la competitività di un paese dipende da tutta una serie di fattori che in media tendono ad assumere particolare rilevanza nei casi di paesi già ricchi.

20 settembre 2012

No, non è la BCE...

Nuovo segnale di recessione per l'economia dell'eurozona. I dati relativi al PMI composite diffusi questa mattina confermano e in qualche caso aggravano (v. la situazione della Francia in particolare) un quadro macroeconomico in forte deterioramento corrente e prospettico.

Come chiarisce bene il grafico in basso (click per ingrandire), l'andamento del PMI composite è un indicatore anticipatore abbastanza affidabile per i successivi movimenti del PIL. E per l'area dell'euro non è soltanto ben al di sotto della soglia di 50 che segnala una contrazione del livello di attività economica, ma in continuo peggioramento da diversi mesi.


Il rallentamento in corso appare tutt'altro che congiunturale: ci sono importanti fattori strutturali - dal settore creditizio, al debito pubblico, alla competitività - che motivano direzione e persistenza di questi movimenti. E che la politica monetaria, per quanto sagacemente aggressiva, non può curare... 

11 settembre 2012

La globalizzazione in prospettiva (e l'Occidente tra parentesi)

Recenti stime di Deutsche Bank e PWC, che hanno costruito l'affascinante grafico in basso (click per ingrandire), confermano misurazioni degli esperti della teoria della crescita secondo le quali l'espansione di paesi "emergenti" come Cina e India altro non sarebbe che un riequilibrio verso una naturale posizione di preminenza nella produzione globale della ricchezza.


Stime confezionate con riferimento agli anni 0-1000 vanno prese con una certa cautela, ma complessivamente il livello e la relativa stabilità delle quote descritte nel grafico hanno una notevole plausibilità.

In questo senso, gli ultimi due secoli di rivoluzionaria ascesa e declino della quota di PIL in capo a paesi occidentali più Giappone appaiono solo una parentesi. E la crisi iniziata nel 2007 un precipitoso (e traumatico) ritorno alla realtà.

7 settembre 2012

QE-dipendenza

Un grafico come quello in basso (estratto dal Wall Street Journal di oggi, click per ingrandire) chiarisce bene la contraddizione nella quale si trova oggi la politica monetaria, sia negli USA che nella zona dell'euro. 

Le manovre straordinarie o non convenzionali delle banche centrali sulle due sponde dell'Atlantico sono state tra le forze più determinanti (forse la più determinante) delle fasi di crescita delle quotazioni azionarie post-Lehman. E' un effetto esplicitamente voluto, nella convinzione che prezzi degli asset in crescita avrebbero comunicato, tramite effetti ricchezza e di maggiore liquidità collaterale, una spinta espansiva all'intera economia.

E' molto controverso che tale spinta si sia effettivamente materializzata. Per un'interessante e recentissima analisi basta leggere il bel lavoro presentato da M. Woodford al simposio di Jackson Hole. Molto meno controverso è invece l'innegabile "impatto sostenitivo" della politica monetaria nei confronti degli asset, in particolare del mercato azionario. In pratica, i movimenti a breve e medio termine delle quotazioni dipendono, oggi in misura storicamente inusitata, da quanto il mercato si aspetta facciano le banche centrali. Anzi, il rischio che la politica monetaria torni ad un più normale atteggiamento "neutrale" rispetto al livello delle valutazioni azionarie fa spesso agitare i mercati.

Si tratta evidentemente di una situazione insostenibile. Le quotazioni azionarie sono una funzione del processo di valutazione dei cashflow delle imprese quotate, che solo in minima parte in tempi normali dipendono dalle politiche monetarie. Certo, in circostanze eccezionali, la capacità delle banche centrali di mantenere in vita un funzionamento regolare dei mercati monetari e creditizi può evitare eccessive turbolenze alle quotazioni azionarie. Ma le circostanze eccezionali sono, appunto, eccezionali, e non possono durare per interi cicli economici. Soprattutto se nel frattempo le misure convenzionali di politica monetaria, come il livello reale dei tassi di interesse di riferimento, indicano una stance comunque iper-espansiva.

Ci sono evidenti limiti agli effetti espansivi che è ragionevole attendersi dalle decisioni di politica monetaria.Tutto il resto può rivelarsi velleitario, forse pericoloso.

6 settembre 2012

La risposta della Bundesbank

Durissimo comunicato della Bundesbank a proposito dell'iniziativa di oggi annunciata dall'Eurosistema:

FRANKFURT (MNI) -"In the most recent discussions, as before, Bundesbank President Jens Weidmann reiterated his frequently substantiated critical stance towards the purchase of government bonds by the Eurosystem.
He regards such purchases as being tantamount to financing governments by printing banknotes. Monetary policy risks being subjugated to fiscal policy. The intervention purchases must not be permitted to jeopardise the capability of monetary policy to safeguard price stability in the euro area.
If the adopted bond-purchasing programme leads to member states postponing the necessary reforms, this will further undermine confidence in the political leaders' crisis-resolution capability. This underscores the crucial importance of ensuring both credibility in the promised conditionality and the resolute determination to immediately terminate intervention purchases if the underlying conditionality is no longer assured.
The announced interventions in the government bond market carry the additional danger that the central bank may ultimately redistribute considerable risks among various countries' taxpayers. Such risk-sharing, however, can be legitimately authorised solely by democratically elected parliaments and governments."

Da studiare...ma non sembra uno spartiacque!

Testo completo del nuovo programma di Outright Monetary Transactions della BCE.


PRESS RELEASE
6 September 2012 - Technical features of Outright Monetary Transactions

As announced on 2 August 2012, the Governing Council of the European Central Bank (ECB) has today taken decisions on a number of technical features regarding the Eurosystem’s outright transactions in secondary sovereign bond markets that aim at safeguarding an appropriate monetary policy transmission and the singleness of the monetary policy. These will be known as Outright Monetary Transactions (OMTs) and will be conducted within the following framework:
Conditionality

A necessary condition for Outright Monetary Transactions is strict and effective conditionality attached to an appropriate European Financial Stability Facility/European Stability Mechanism (EFSF/ESM) programme. Such programmes can take the form of a full EFSF/ESM macroeconomic adjustment programme or a precautionary programme (Enhanced Conditions Credit Line), provided that they include the possibility of EFSF/ESM primary market purchases. The involvement of the IMF shall also be sought for the design of the country-specific conditionality and the monitoring of such a programme.

The Governing Council will consider Outright Monetary Transactions to the extent that they are warranted from a monetary policy perspective as long as programme conditionality is fully respected, and terminate them once their objectives are achieved or when there is non-compliance with the macroeconomic adjustment or precautionary programme.

Following a thorough assessment, the Governing Council will decide on the start, continuation and suspension of Outright Monetary Transactions in full discretion and acting in accordance with its monetary policy mandate.
Coverage

Outright Monetary Transactions will be considered for future cases of EFSF/ESM macroeconomic adjustment programmes or precautionary programmes as specified above. They may also be considered for Member States currently under a macroeconomic adjustment programme when they will be regaining bond market access.

Transactions will be focused on the shorter part of the yield curve, and in particular on sovereign bonds with a maturity of between one and three years.

No ex ante quantitative limits are set on the size of Outright Monetary Transactions.
Creditor treatment

The Eurosystem intends to clarify in the legal act concerning Outright Monetary Transactions that it accepts the same (pari passu) treatment as private or other creditors with respect to bonds issued by euro area countries and purchased by the Eurosystem through Outright Monetary Transactions, in accordance with the terms of such bonds.
Sterilisation

The liquidity created through Outright Monetary Transactions will be fully sterilised.
Transparency

Aggregate Outright Monetary Transaction holdings and their market values will be published on a weekly basis. Publication of the average duration of Outright Monetary Transaction holdings and the breakdown by country will take place on a monthly basis.
Securities Markets Programme

Following today’s decision on Outright Monetary Transactions, the Securities Markets Programme (SMP) is herewith terminated. The liquidity injected through the SMP will continue to be absorbed as in the past, and the existing securities in the SMP portfolio will be held to maturity.

4 settembre 2012

L'insostenibile pesantezza dell'euro

Si discute tanto di spread, ma la stampa italiana non sempre riesce a spiegare che a monte e a valle della divergenza sensibile dei tassi di interesse tra centro e periferia dell'area euro, ci sono differenze altrettanto, se non più, significative nelle condizioni di accesso al credito.

Il Wall Street Journal e da ultimo ieri il Financial Times non mancano invece di sottolineare queste tensioni. Il grafico in basso (click per ingrandire), tratto appunto da FT di oggi e basato su dati BCE, è piuttosto eloquente: mediamente le piccole e medie imprese italiane e spagnole pagano il denaro almeno 2 punti percentuali in più all'anno delle concorrenti tedesche o francesi.

La mia impressione è che questi dati ufficiali, sia in termini di livelli che di differenziali, sottostimino ampiamente la restrizione creditizia in corso ormai da anni. In ogni caso, i differenziali in questione restano di notevole entità, ed esprimono in maniera plastica l'insostenibilità reale dell'attuale configurazione bancario-finanziaria dell'area dell'euro. 


3 settembre 2012

22 agosto 2012

Bolle e bollicine

Apple è diventata in questa settimana la società quotata più grande della storia in termini di capitalizzazione di mercato.

La tabella in basso (click per ingrandire) mostra anche altre importanti società USA che negli ultimi anni hanno raggiunto vertici molto significativi di valore di mercato, e la loro capitalizzazione attuale.

20 agosto 2012

14 agosto 2012

Nel breve, mercati yo-yo

I mercati azionari europei oggi hanno aperto in positivo, stimolati da dati migliori delle attese riguardo al PIL tedesco e francese del secondo trimestre.

Questa è più o meno l'apertura del lancio di agenzia tipico sui mercati azionari odierni. Vediamo di tradurre questa notizia e l'andamento complessivamente sonnacchioso ma positivo dei mercati degli ultimi giorni in termini razionali, con l'obiettivo anche di imparare qualcosina sulla loro psicologia.

Innanzitutto, i dati sul PIL: nel secondo trimestre Germania 0.3% di incremento rispetto al primo, Francia invariato. Ma come, tutto qui?! Ebbene sì, la crescita mirabolante dei corsi azionari europei di questa mattina si deve al fatto che i mercati si aspettavano un +0.2% per la Germania e un nemero lievemente negativo per la Francia. Allora la reazione dei mercati azionari è superficiale e isterica? No, semplicemente in queste sedute agostane per varie ragioni, non ultime quelle di tipo precauzionale, i volumi scambiati sono molto sottili, e bastano relativamente pochi scambi per movimentare significativamente indici e prezzi. C'è poi da aggiungere che la situazione congiunturale in Europa è talmente disperata che persino l'assenza di notizie pessime, o l'arrivo di notizie brutte ma non bruttissime incoraggia qualche investitore a non vendere, o a ricoprirsi in attesa di nuove burrasche di cui approfittare...

Più in generale, i segnali degli ultimi giorni provenienti dai mercati sono molto chiari. La politica monetaria degli ultimi 15 anni e ancora di più le misure non convenzionali degli ultimi 5, hanno abituato i mercati a manovre espansive a getto continuo. Fino al paradosso, osservato specialmente negli ultimi mesi, di mercati al rialzo a fronte di cattive notizie congiunturali, semplicemente perchè queste ultime rendevano meno improbabili manovre espansive delle banche centrali altrimenti non garantite dall'andamento dei fondamentali. Dipendenza da liquidità.

Questo ciclo di formazione delle aspettative è stato alimentato e irrobustito per innumerevoli occasioni, probabilmente con il lodevole intento di prevenire crolli devastanti ed esiziali delle quotazioni in una prolungata fase di congiuntura molto debole. Il problema però è che in questa maniera le quotazioni sono diventate a breve termine una funzione quasi esclusiva delle aspettative sulla politica monetaria, che a sua volta non è in grado da sola, soprattutto in presenza di forti squilibri strutturali, di garantire la redditività degli investimenti o la ripresa del ciclo economico.

Risultato: periodicamente, le quotazioni tornano a scendere verso livelli coerenti con i fondamentali (redditività delle imprese, produttività dell'economia). E si può scommettere che, dopo un periodo di lievitazione abbastanza generosa dei corsi, quel momento non sia molto lontano...

7 agosto 2012

La congiuntura italiana secondo gli ottimisti

Goldman Sachs è da sempre il più bullish tra gli analisti della nostra economia. Eppure, a ruota della pubblicazione dei terribili dati congiunturali ISTAT di questa mattina, la nota banca d'affari non lesina tristezza nel suo commento più recente (in allegato in basso, click sul grafico per ingrandire):


"BOTTOM-LINE: Italian real GDP growth disappointed in the second quarter, at -0.7%qoq non-annualised (0.1% above BBG consensus, and 0.2% below GS forecast) after an already weak -0.8%qoq in the first quarter. The yoy contraction stood at -2.5%. This creates a very weak base for the 2012 growth figure, and mechanically shifting our expectation of a more significant inflection point from Q3 onwards, the "automatic" adjustment of our forecast yields an expected contraction of real GDP of 2.1% in 2012.

1. Real GDP contracting at a sharp pace since the beginning of the year (Chart). Real GDP contracted by 0.7%qoq in Q2, after -0.8%qoq in Q1, a fourth quarter of negative quarterly growth rates. The Q2 figure was a negative surprise that compounds an already bleak performance in Q1. Looking forward, leading indicators do not point to any significant improvement in Q3.

2. No details on GDP components, but decline likely to be broad based. ISTAT does not publish the details of its first GDP estimate, but stated that activity contracted in agriculture, industry and services. Given past developments, we will pay particular attention to private sector investment, which has declined significantly in Q1 (from -2.6%qoq in 2011Q4 to -3.6%qoq), stuck at around 25% below its 2007 peak.

3. Industrial Production disappointed in June. Released earlier this morning, the June industrial production figure turned out weaker than expected (-1.4%mom sa, -1.7% for Q2 as a whole, and a steep -8.2%yoy sa). The negative dynamics was almost evenly shared across non-energy industrial sectors (consumer, investment and intermediate goods).

4. Italy under close macroeconomic scrutiny over coming quarters. The recessionary dynamic is likely to mechanically weaken tax revenues this year, creating hurdles for the fiscal consolidation that is otherwise well underway. Looking forward, we will be very vigilant about the GDP components when the second GDP estimate is released. We believe that the domestic economy - in particular private sector consumption and investment - currently faces strong headwinds (fiscal adjustment, financing conditions) that may end up harming sequential growth dynamics by more than we currently foresee."

27 luglio 2012

O la va o la spacca, Frankfurter style...

Le prossime due settimane saranno particolarmente interessanti per l'eurozona. Le dichiarazioni del Presidente Draghi di ieri hanno reso inevitabile per i mercati concentrarsi, in caso di rinnovata pressione sui prezzi dei titoli di stato dell'eurozona, su una sola e molto chiara alternativa:
  1. Se la ECB effettivamente darà corso alla promessa di fare "whatever it takes" per salvare la situazione e riattiverà il Securities Markets Programme (acquisti di titoli periferici sul mercato secondario) oppure procederà ad altre operazioni straordinarie, magari ancora al limite tra politica monetaria, fiscale e finanziaria, allora vorrà dire che le resistenze dei paesi "core" a un impiego ardito degli strumenti a disposizione della ECB sono state vinte davvero. Dubito che ciò risolverebbe definitivamente la crisi, che invece richiede di arrivare in tempi quasi irragionevolmente stretti a un'unione fiscale piena o a una caparbia ristrutturazione dei debiti periferici. Personalmente non credo che Germania, Olanda, Finlandia e gli altri paesi core si siano realmente riorientati in tal senso, per cui attribuisco a questo scenario una probabilità relativamente bassa di verificarsi: 20%.
  2. Se invece la "promessa" di Draghi restasse lettera morta, o sostanzialmente tale, a fronte di rinnovati shocks agli spread e ai corsi azionari, il danno reputazionale ed operativo al funzionamento dell'Unione Monetaria sarebbe enorme, forse irreversibile. Quand'anche eventuali interventi della ECB fossero concordati con il gruppo core, ma restassero nel solco dei passati acquisti SMP o delle LTRO di dicembre 2011 e febbraio 2012, i loro effetti sarebbero confinati a un beneficio di breve, forse brevissimo respiro. Questo scenario mi sembra di gran lunga il più probabile: 80%.
Anch'io penso che l'attuale situazione sui mercati impedisca, come sostiene Draghi, la normale trasmissione della politica monetaria. Resto convinto però che la politica monetaria non sia in grado di affrontare e risolvere problemi strutturali della nostra "unione monetaria senza unione fiscale", come la mancanza di competitività, la fragilità bancaria e l'eccesso di spesa pubblica. Anzi, il rischio di un'eccesso di responsabilizzazione della politica monetaria è che si esasperino distorsioni e fragilità che rendono ancora più difficile l'aggiustamento. L'aumento del profilo di rischio dei portafogli bancari seguito agli acquisti di debito sovrano con la liquidità erogata dalle LTRO nè è un esempio lampante.

24 luglio 2012

Dall'incertezza al collasso

C'è un robusto filo rosso che unisce le ragioni di fondo della recessione/stagnazione che il nostro e altri Paesi stanno vivendo con la persistente instabilità sui mercati finanziari di questi anni.

Uno dei canali di trasmissione più diretti è quello legato al ruolo dell'incertezza.

Un'impresa italiana che sta prendendo in considerazione un'importante decisione di investimento fronteggia diversi livelli di incertezza. La volatilità della domanda probabilmente le impedisce un'analisi di mercato sufficientemente chiara da consentirle una stima affidabile dei flussi di vendita attesi. I cambiamenti nelle condizioni di accesso al credito intervenuti negli ultimi anni la possono convincere a intravvedere solo variazioni peggiorative. I dubbi, diciamo pure lo scetticismo generalizzato, sulla situazione della finanza pubblica italiana, indicano che il carico fiscale potrebbe crescere ulteriormente, per il reddito di impresa e forse ancora di più per i fattori produttivi, capitale e lavoro. E così via.

Consumatori e investitori in media non possono che soffrire circostanze molto simili di elevata incertezza. Di fronte alle quali la reazione meno preoccupata è lo stand-by nei piani di consumo e investimento; quella più verosimile una riduzione precauzionale di entrambi, con ovvie ripercussioni a livello aggregato. Di fronte a incertezze fondamentali sul livello futuro della tassazione del reddito, dei contributi e delle prestazioni previdenziali, non esistono reazioni più razionali.

La cura: le autorità di politica economica dovrebbero "cancellare la lavagna" e mettere nero su bianco pochi, comprensibilissimi e credibili piani per restituire certezze a consumatori, investitori e imprese. Attenzione, qui la parola più importante è: "credibili". Quando il ministro dello sviluppo economico annuncia in giugno un piano di investimenti pubblici da 80 miliardi che a luglio egli stesso ammette trattarsi di un più modesto riordino di incentivi esistenti con un apporto di nuove risorse al massimo pari a 2 miliardi, l'effetto depressivo sulle aspettative degli individui e delle imprese è terribile. Oppure, quando mezzo governo, primo ministro incluso, ogni 5 minuti sostiene che i conti pubblici sono in sicurezza, salvo poi dover ricorrere a condizioni capestro sui mercati obbligazionari per rifinanziare pochi miliardi di debito, la scena ricorda più quella del naso a geometria variabile di Pinocchio davanti alla fatina che a implacabili docenti bocconiani di economia davanti ai rozzi speculatori internazionali. E gli esempi potrebbero continuare, dalla solvibilità delle banche, alle prospettive del PIL, ecc.

La cura, dicevamo. Impensabile a questo punto sperare di superare questa crisi senza una qualche ristrutturazione dello stock di debito. Un'operazione che ne abbatta di almeno 200-300 miliardi di euro il valore nominale. I modi ci sono, anche relativamente semplici. A patto che si accetti di infliggere qualche perdita in conto capitale ai bondholders. In aggiunta, dismissioni di quote significative del patromonio pubblico, a partire dall'infinito arcipelago di aziende controllate e partecipate dallo Stato Centrale e dalle amministrazioni locali. Anche qui, fare i furbi non pagherebbe: cedere queste proprietà alla Cassa Depositi e Prestiti sarebbe una semplice partita di giro, per di più ulteriormente peggiorativa dell'attuale decrepita struttura familistico-amorale del capitalismo italiano. Infine, un'impietosa imposta addizionale progressiva sui patrimoni mobiliari e immobiliari, a partire da quelli delle società, con cui finanziare un potente sgravio fiscale sulle attività di investimento "reali" e sul lavoro.

Sono tutte cose tecnicamente fattibilissime, e dagli effetti molto significativi. Se non se ne vede l'ombra, è solo perchè interessi fortemente concentrati, fondazioni bancarie, lobbies occulte, cricche e cosche varie riescono a condizionare fortemente l'attività esecutiva, legislativa e anche il dibattito di politica economica del nostro Paese, fino a trascinarlo al punto in cui siamo, cioè al collasso. 

16 luglio 2012

Tutto quasi inutile. Come previsto

Per i tanti scandalizzati delle opinioni di Moody's o di S&P's, purtroppo il più paludato Fondo Monetario Internazionale non offre molto sostegno.

Nei giorni scorsi il Fondo ha pubblicato svariate nuove proiezioni sull'economia del nostro Paese, tra cui il corposo Country Report No. 12/167, contenente una minuziosa e molto bilanciata analisi della nostra situazione economica.

Tra le tante proiezioni disincantate e molto allarmanti, quelle sulla traiettoria del debito pubblico. Era al 120% del PIL alla fine del 2011, anno di grandi e onerose manovre di finanza pubblica che hanno dispiegato effetti recessivi molto consistenti.

Alla fine del 2012, dopo innumerevoli provvedimenti di aumento della pressione fiscale e qualche riduzione temporanea delle spese, salirebbe al 125.8%. Quindi, un incremento di quasi sei punti di PIL. Senza manovre, forse avremmo avuto un'economia più vivace, ma forse anche un debito ancora più elevato.

Le previsioni IMF per 2013 e 2014 parlano di una possibile decelerazione dell'incremento, con picco al 126.4% l'anno prossimo. Si tratta però di stime con ampia banda di incertezza, basate su ipotesi relative alla congiuntura internazionale, alla situazione dei mercati finanziari e a quella delle politiche monetarie, tutt'altro che scontate.

L'aspetto più significativo, tuttavia, è la distanza siderale tra l'infantile ottimismo scodellato sulle pagine dei nostri principali quotidiani dai governi in carica attuale e precedenti, e la dura realtà dei numeri. L'Italia è un Paese sospeso tra insolvenza pubblica, depressione economica.

Altre realtà nelle stesse condizioni strutturali hanno trovato il coraggio e l'umiltà di riformarsi con rigore e ripartire. Al nostro Paese difetta cronicamente la capacità di prendere coscienza della serietà della situazione. Inoltre, l'establishment economico e politico è troppo invischiato in conflitti di interesse per avviare riforme in grado di incidere significativamente sulla situazione, come un programma deciso di vendite del patrimonio pubblico e una riduzione razionale della spesa pubblica. Provvedimenti che in ogni caso potrebbero essere ormai tardivi e insufficienti.

Se ne verrà fuori comunque, in questi mesi stiamo semplicemente quanto costoso sarà, per la nostra collettività e in chiave redistributiva, del ritorno alla realtà. E' già molto alto, rischia di essere terribile.   

2 luglio 2012

Brescia e il credit crunch - Seconda parte


(Continua dal post precedente)...
La crisi finanziaria a partire dal 2007 ha comportato ulteriori assottigliamenti del capitale proprio delle banche italiane e una drammatica e persistente fase di indebolimento della loro capacità di raccolta della liquidità. Queste difficoltà si sono ulteriormente acuite con la più recente fase di turbolenza legata alla crisi debitoria nell’area dell’euro e alla debolezza del sistema economico italiano. Alla loro relativa sottocapitalizzazione gli istituti hanno reagito solo in minima parte attraverso la raccolta di mezzi propri freschi, e in larga misura invece con una sostenuta attività di deleveraging, ossia con una consistente riduzione degli impieghi, che ha amplificato il credit crunch. A questa logica non si sono sottratte neanche le recenti operazioni straordinarie di rifinanziamento della BCE, che non si sono finora tradotte in apprezzabili aumenti dei prestiti, se non agli Stati sovrani periferici sotto forma di acquisti di titoli di stato a breve e media scadenza. Il che ha ulteriormente peggiorato il profilo di rischio degli attivi bancari, come si vede dal feedback loop che in questi giorni lega il rischio sovrano e i corsi azionari delle banche italiane e spagnole.

I riflessi “bresciani” di queste tendenze nazionali sono particolarmente severi. La costituzione dei nuovi gruppi bancari ha comportato un notevole deterioramento nelle già difficili relazioni tra banche e imprese del territorio, che fino a pochi anni fa potevano contare su un significativo, anche se sempre problematico, radicamento degli intermediari finanziari. La crescita dimensionale di questi ultimi, lo snaturamento della vocazione territoriale e l’adozione di modelli di business più orientati alle attività di investimento e di trasferimento dei rischi piuttosto che a quelle tradizionalmente concentrate sul finanziamento delle attività produttive, hanno privato il tessuto imprenditoriale bresciano di un fondamentale canale di approvvigionamento di risorse finanziarie, anche in misura superiore rispetto ad altre province. I nuovi grandi gruppi hanno inoltre adottato politiche di standardizzazione delle pratiche creditizie che hanno mortificato il carattere fortemente segmentato del segmento corporate.

Le PMI hanno risentito in misura particolare di queste tendenze, perché più strettamente vincolate al credito bancario per le proprie necessità e meno in grado di attivare canali alternativi di raccolta rispetto ad imprese meglio strutturate. Nonostante lodevoli tentativi di controbilanciare il credit crunch attraverso strumenti come i consorzi fidi o le garanzie collettive, l’effetto di restrizione creditizia è stato, anche nel 2011 e nell’anno in corso, particolarmente pesante. Le operazioni aziendali maggiormente penalizzate sono ovviamente quelle che richiedono investimenti più rilevanti, quindi le ristrutturazioni dei processi produttivi, l’adozione di nuove linee o processi di produzione, la riorganizzazione aziendale. Si tratta di operazioni cruciali per garantire l’adattamento delle imprese a un contesto sempre più aperto alla concorrenza e orientato all’innovazione e alla qualità dei prodotti. In altri termini, la fase di grandi trasformazioni strutturali che stiamo vivendo comporta per le imprese una molteplicità di operazioni di riorganizzazione complesse ed onerose sul piano dei fabbisogni di capitale, e questo spiega perché la mancanza di credito per le attività di questo genere si stia tragicamente riflettendo in mancata ripresa dell’attività produttiva.

Come se ne esce? Tornando ai fondamentali, quindi a banche la cui operatività corporate parta dalla costruzione attenta e meticolosa di un rapporto di lungo termine con il tessuto imprenditoriale territoriale, in un’ottica di concorrenza vera tra intermediari, di vigilanza occhiuta e indipendente sui loro bilanci, e di patrimonializzazione solida e non viziata da artifici contabili e compiacenze regolamentari. Questa prospettiva implica, nel breve-medio termine, una messa in discussione del ruolo delle fondazioni bancarie e degli attuali assetti proprietari dei gruppi. Forse anche il ritorno limitato e temporaneo, alla “svedese”, dello Stato nel loro capitale. Se questo è il prezzo da pagare per avere banche che finalmente si concentrano sul loro compito fondamentale, cioè di intermediare efficientemente i flussi di fondi tra risparmi e investimenti, perché escludere opzioni coraggiose? Never waste a serious crisis...

28 giugno 2012

Brescia e il credit crunch - Prima parte

Nel suo recente Global Financial Stability Report, il Fondo Monetario Internazionale ha avvertito che, sulla base di uno studio delle 58 maggiori banche europee, queste continueranno nei prossimi 18 mesi a ridurre significativamente le proprie attività, per un ammontare di almeno 2 mila miliardi di euro. Si tratta di una tendenza avviatasi già nel 2011 e dovuta alla necessità delle banche di ridurre la propria esposizione ai rischi, attraverso un deleveraging che ridimensionerà i loro bilanci ancora per circa il 7% rispetto alla dimensione attuale. Del campione di intermediari europei selezionati dallo studio FMI fanno parte le italiane Intesa Sanpaolo, Unicredit, Montepaschi, Banco Popolare e UBI, ma le tendenze illustrate riguardano il sistema bancario nel suo complesso. In media, un quarto circa della riduzione delle attività sta avvenendo attraverso una riduzione del volume dei prestiti, e il resto attraverso la vendita di filiali e asset non strategici e titoli in portafoglio. Le proiezioni sono stime prudenti, e i tecnici del Fondo puntualizzano che sviluppi non favorevoli nelle politiche monetarie, nella congiuntura economica o nell’andamento dei mercati potrebbero fare ulteriormente crescere la misura del deleveraging e la sua quota coperta da riduzione dei prestiti.

Lo scenario baseline, cioè migliore, è già sufficientemente terrificante. La notevole contrazione delle attività bancarie, e dei prestiti in primis, se perseguita come anticipato, comporterà un attacco esiziale alla stabilità finanziaria e alla crescita economica, in Europa e altrove. Nel nostro continente il credito si ridurrebbe in media dell’1.7%. Si ricordi che in una normale recessione non diminuisce il volume dei crediti, ma solo il suo tasso di crescita. Tuttavia, ci sono già e persisterebbero profonde differenze tra banche e banche, e soprattutto tra paesi, con gli stati aventi spread sovrani più elevati esposti a un credit crunch ancora più consistente della media. In Germania la riduzione dell’offerta di credito sarebbe solo dello 0.1%, in Francia dello 0.5%, mentre in Spagna sfiorerebbe il 4%.

Per l’Italia è prevista una contrazione del credito del 2.8%, devastante soprattutto per le nostre imprese; il nostro tessuto produttivo è dominato da imprese medie, piccole e piccolissime, particolarmente dipendenti dal credito bancario e quindi da questo punto di vista ancora più vulnerabili.

Pochi giorni fa sono stato relatore in un importante convegno su PMI e mercati esteri nella nostra città. Tra gli altri relatori c’era un noto commentatore di cose economiche di fama nazionale, che in quell’occasione si è prodigato nel ribadire un “teorema della crisi” molto in voga sui nostri media e ahimè popolare anche in parte del mondo accademico nostrano. Il teorema avanza più o meno nel modo seguente. E’ vero, ci sono paesi europei dai deficit pubblici un po’ troppo pronunciati e con sistemi economici un pochino ingessati, ma si tratta di problematiche tutto sommato minori rispetto a quelle fronteggiate dalle economie anglosassoni, capaci di crescere solo grazie a una faraonica proliferazione di finanza speculativa e debito privato. Le banche? Beh, quelle europee sono mediamente più rigorose, meno aggressive di quelle yankee, che invece hanno trascinato il mondo verso la crisi perseguendo strategie di finanza speculativa senza freni. Il teorema si chiude con un corollario ineffabilmente complottista: le autorità economiche europee e quelle internazionali di regolazione bancaria, dominate come sono, rispettivamente, dalla Germania e dai grandi interessi finanziari americani, stanno affossando l’economia europea promuovendo, tra l’altro, insensate politiche di ricapitalizzazione che penalizzano soprattutto le nostre banche, aventi come unica colpa quella di essere sane e prudenti.

Non sorprende più di tanto che una “storiella” del genere esista e che circoli su tanti media, sulle pagine dei quotidiani più autorevoli come in alcuni corsivi dei giornali di Brescia. Viviamo in un Paese e una città confusi, dalle intelligenze decostruite, spesso irretite da inconfessabili conflitti d’interesse. E’ perciò salutare esercitare un piccolo sforzo di ripristino della razionalità e della realtà.

Il costoso credit crunch descritto dal FMI ha origine in due eventi che, sebbene distinti, si sono più volte intrecciati, in Italia e a Brescia. Da una parte, la crisi subprime avviatasi con lo sgonfiarsi della bolla nel settore immobiliare e della housing finance USA nel 2007 si è innestata su una situazione di tensione crescente nei rapporti tra banche e imprese italiane a seguito dell’adozione del modello originate-to-distribute da parte degli intermediari finanziari di casa nostra. Questo modello si è imposto essenzialmente grazie a innovazioni nelle tecnologie di trasferimento del rischio (securitisation), ma soprattutto in seguito ad alcune disposizioni regolamentari e a una generalizzata spinta alla deregulation in ambito finanziario. Nel nostro Paese, che non è rimasto in seconda fila rispetto a questi sviluppi, il tutto si è accompagnato, come altrove, a un approccio asimmetrico e tollerante in tema di esposizione ai rischi di credito delle banche. E’ stato per esempio tollerato nel caso di vari istituti, anche del nostro territorio, l’accumulo di esposizioni nei confronti di grandi debitori, spesso investitori nel capitale degli stessi gruppi bancari o protagonisti di avventure speculative mobiliari e immobiliari ad alto rischio, specifico e sistemico, e in media foriere di enormi perdite.

In parallelo, il settore creditizio italiano ha vissuto dai primi anni 2000 una seconda e più massiccia ondata di ristrutturazioni societarie e strutturali, che ha visto la costituzione di alcuni grandi gruppi bancari dalle dimensioni storicamente inusitate per il nostro Paese. Queste aggregazioni furono poco o per nulla frutto di logiche di mercato o di crescita organica, come avviene nella maggior parte dei mercati e anche di quelli creditizi, e risultarono per lo più da operazioni di fusione e incorporazione ad altissima leva e prive di logica economica, deliberate dalle fondazioni bancarie e da altre componenti rilevanti nell’azionariato dei preesistenti istituti bancari. L’assetto proprietario delle nostre banche è oggi dominato dalle fondazioni bancarie, soggetti ibridi unici al mondo, tendenzialmente opachi, dominati da blocchi di potere politico locale. Il risultato finale delle ristrutturazioni fu un fondamentale riassetto dalla struttura del nostro mercato bancario intorno a un numero relativamente contenuto di nuovi grandi gruppi, sulla cui solidità patrimoniale e sulle cui prospettive aziendali i dubbi, già significativi alla loro costituzione, crebbero con il passare del tempo. Analisi di istituti pubblici (Banca dei Regolamenti Internazionali, Fondo Monetario Internazionale, Banca d’Italia) e privati (Moody’s, per esempio) hanno dimostrato che i nostri maggiori gruppi bancari sono più di prima caratterizzati da patrimonializzazione e redditività esigue rispetto ai loro peers europei ed extraeuropei. Le maxi svalutazioni e le perdite su avviamenti messe a bilancio dagli stessi gruppi bancari nel 2012 confermano ampiamente questa fotografia....(continua)

27 giugno 2012

Troppo costoso, conviene?

Oggi l'Italia ha tenuto un'importante asta di titoli di stato nella quale il Tesoro ha venduto 9 miliardi di euro di attività con una scadenza di sei mesi. 

Il collocamento è costato al nostro Paese un rendimento del 2.957%, più di quanto costa oggi al Tesoro USA prendere a prestito a 30 anni (2.70%). Inoltre, il rendimento medio è stato il più alto dal dicembre 2011, quando il BTP decennale aveva superato il 7%, e ben maggiore del 2.104% che prevalse all'asta analoga del 29 maggio, meno di un mese fa.

22 giugno 2012

Un richiamo al comportamento del banchiere


Nel contesto attuale, molte piccole e medie imprese da un lato avvertono l’esigenza di dover contare ancora di più sulla banca, dall’altro non considerano più la banca un interlocutore professionale e affidabile. Limitandoci all’interazione in materia di credito, in passato il no del banchiere poteva anche portare l’imprenditore a una sofferta ma utile riflessione, innescata da una certa predisposizione a pensare che quel no potesse anche avere un fondamento. Ora, quella predisposizione è più difficile da riscontrare, e il no viene spesso visto come risultato di logiche e dinamiche decisionali incomprensibili, comunque lontane dall’interesse strategico dell’azienda.

La severa crisi in corso impone a tutti, e quindi anche al banchiere, di riesaminare criticamente il proprio operato. Da quel riesame, egli non può non trarre l’indicazione di non avere sempre dispiegato comportamenti lineari e coerenti con l’impegnativo mandato fiduciario che la società ha riposto in lui e che lo vede rivestire i panni del sacerdote della crescita.

Il tema è troppo serio per essere richiamato con le nostre sole parole. Vorremmo allora riformularlo con il monito che il grande governatore Menichella rivolgeva proprio ai banchieri nel giugno del 1954 leggiamo:

"Il compito di direzione bancaria è affascinante perché è eminentemente creativo; ma le creazioni devono essere equilibrate e non ipertrofiche.

Mantenere ad una banca un sano equilibrio patrimoniale e reddituale è più meritorio di promuovere un eccessivo e pericoloso sviluppo; …

Conservate con gelosa cura la vostra libertà di giudizio, la vostra libertà di concedere o non concedere credito; se vi ponete nella condizione di perdere tale libertà per avere concesso troppo… ricordatevi di compiere l’atto di onestà di cedere ad altri, meno compromessi di voi, il vostro posto: avrete in tal modo reso alla banca il solo servigio che possa far scusare gli errori da voi concessi."

 
Il passaggio finale è di grande durezza, ma non può che essere così perché conseguente da un richiamo all’essenza dell’essere banchiere, ovvero al saper dire anche di no, ma in modo rigoroso, difendibile, e convincente. A questo riguardo, a solo a mo’ di esempio, e astraendo ovviamente dai frequenti casi di intervento delle procure, rileviamo che non è convincente il no del banchiere che:
  • oggi dice di non avere più risorse da distribuire, ma ieri le ha impiegate in acquisizioni fatte con scarsa logica industriale o a prezzi irragionevoli, oppure le ha consegnate a prenditori grandi e non affidabili, e magari forzando le norme formali sulle parti correlate e quelle informali sugli affidamenti finalizzati a meri investimenti finanziari;
  • non sapendo gestire i processi di segmentazione dell’operatività della clientela, finisce con il valutare le richieste di fido senza avere adeguatamente ricostruito il quadro dei rapporti complessivi dell’impresa con la banca;
  • sull’informazione hard riguardante chi fa domanda di fido non sa opportunamente innestare l’informazione soft, magari sistematicamente dispersa con un’assurda, rapida turnazione del personale di rete.
Anche da questo stato di cose consegue una tensione tra banche e piccole imprese che è esiziale per la crescita del Paese. Il banchiere deve lavorare seriamente per rimuovere tale tensione; lo può fare solo se recupera pienamente il senso del mandato fiduciario che la società ha riposto in lui e al quale richiamava Menichella con il citato passaggio di straordinaria efficacia e attualità.