26 gennaio 2011

Non è ancora stagflazione, ma...

Lo shock è stato senz'altro forte. Nei giorni passati sono emerse le statistiche preliminari per il tasso di crescita del PIL britannico del quarto trimestre 2010 e il tasso di inflazione annuo del paese, -0.5% e 3.7%, rispettivamente.

Tutti sospettavano una congiuntura debole, anche per effetto delle manovre fiscali restrittive annunciate alla fine dello scorso anno, ma praticamente nessuno immaginava una decrescita di mezzo punto percentuale (la media degli analisti optava per +0.5%).

In queste condizioni l'inflazione dovrebbe praticamente essere inesistente, anzi, ci sono settori del sistema economico mondiale tutt'ora in preda a spinte deflattive.

Invece, 3.7%

E' la situazione peggiore che si possa presentare a un policy maker, perché i due obiettivi finali della stabilizzazione macroeconomica spingerebbero a mosse opposte di politica monetaria. In pratica, il Regno Unito è un inflation targeter, e la politica monetaria si dovrebbe decidere solo in base alla stabilizzazione a medio termine delle aspettative di inflazione. Quindi, è già ora di tirare i freni della politica monetaria? Secondo due membri del Monetary Policy Committee della Bank of England, sì, secondo i restanti otto no.

Il dilemma è reso ancora più complicato dai cambiamenti enormi intercorsi alla struttura produttiva e finanziaria del globo da quando (il non tanto lontano 1992) il Regno Unito decise di adottare l'inflation targeting. Essenzialmente, il ciclo reale delle economie aperte è oggi più che mai determinato dalla domanda e quindi dal ciclo economico dei paesi emergenti, che hanno un impatto crescente sulla dinamica del PIL mondiale.

In pratica, ai celebri dilemmi della politica monetaria individuati da Robert Mundell, se n'è aggiunto almeno uno, nuovo, valido soprattutto per economie relativamente piccole come quella UK.

In un mondo globalizzato, dove non solo i prezzi delle materie prime e dei semilavorati, ma anche le condizioni di liquidità e la domanda di beni e servizi prodotti sono sempre più determinate sui mercati internazionali, la politica monetaria nazionale tende a perdere efficacia sulla dinamica interna di inflazione e output.

E' ancora presto per dire se queste tendenze renderanno la politica monetaria (convenzionale e non) inefficace dal punto di vista della stabilizzazione macroeconomica in economia aperta quanto lo è sempre stata la politica fiscale. Così come è ancora troppo presto per parlare di incipienti fenomeni stagflattivi sulla scorta dei recenti dati britannici.

Però è il caso di continuare a vigilare su queste interessanti novità...
 

25 gennaio 2011

Sorprese e attese (2)

Quale idea del funzionamento dei mercati finanziari emerge dal semplice modello presentato nel post precedente?

La prima considerazione è che persino in un mondo popolato da investitori perfettamente razionali e ottimizzanti, il semplice scorrere del tempo, con l'avvicendarsi delle informazioni rilevanti che comporta, può generare importanti fluttuazioni nei prezzi e nei rendimenti. Una semplice simulazione "back-of-the-envelope" ci può convincere che la versione statica o dinamica del modello implica movimento molto bruschi del prezzo di un'attività a fronte di revisioni nelle aspettative sui flussi di cassa o sui tassi di sconto. Revisioni nelle discount-rate news sono probabilmente più piccole e meno frequenti, ma il loro effetto è proporzionalmente maggiore di quelle riguardanti i dividendi. Morale #1: tutto può cambiare.

Poi, se si accetta l'idea che gli investitori, anziché essere tutti individui ottimizzanti e perfettamente razionali, possano essere anche in minima misura influenzati da fattori psicologici o quasi-razionali, i movimenti di prezzi e rendimenti possono rivelarsi ancora più ampi e persistenti. Morale #2: i mercati sono stratificati e imperfetti.

Infine (per il momento), il ruolo dei fondamentali. Come tutti gli schemi basati sulla classica relazione di valore attuale tra prezzi e cashflows, il modello allinea il comportamento di medio termine (ancora di più quello di lungo termine) dei prezzi a quello dei dividendi (o degli altri flussi di cassa nel caso di attività non azionarie).

Come noto, c'è un animato dibattito sull'effettiva capacità dei fondamentali di prevedere i rendimenti a medio-lungo termine, con interessanti prove pro e contro l'ipotesi. Ma l'elemento più interessante è che il modello derivante dalla log-linearizzazione Campbell-Shiller fornisce un buon sostegno all'idea che si possono registrare correzioni anche piuttosto drammatiche delle valutazioni, come effetto di revisioni particolarmente radicali delle aspettative riguardanti i fondamentali.

Morale #3: allacciare le cinture di sicurezza!  

21 gennaio 2011

Sorprese e attese (1)

Le aspettative sul profilo rischio/rendimento futuro delle attività finanziarie giocano  un ruolo-chiave nella determinazione dei valori di mercato. Il modo più semplice per mettere a fuoco questo ruolo è quella di fare riferimento alla celebre definizione del valore intrinseco o di mercato PD di un’attività come al valore attuale di tutti i suoi cash flows (D, dividendi, cedole o canoni di locazione, ecc.) futuri attesi. Per semplicità si userà qui l’esempio delle attività azionarie, ma il quadro adottato può banalmente essere impiegato per la valutazione di qualunque attività, anche non necessariamente finanziaria.

I tassi di sconto con cui vengono attualizzati i flussi di cassa futuri solitamente vengono fatti coincidere con i rendimenti attesi futuri della stessa attività o con quelli medi attesi di mercato, evidentemente influenzati dall’andamento prospettico del ciclo economico. 

Aggiungendo una serie di ipotesi abbastanza ragionevoli su questa semplice relazione contabile, Campbell e Shiller suggerirono una formulazione espressa in termini di rendimenti, e che sembra particolarmente adatta al ragionamento che stiamo conducendo:

 N(t+1) = N_cf - N_dr

Il termine a sinistra del segno di uguale misura la “sorpresa” nei rendimenti, ossia di quanto il rendimento di un’attività, alla fine del periodo di riferimento, anno, mese o giornata di contrattazioni, si scosterà dal valore previsto in base alle informazioni disponibili a inizio periodo.

I termini a destra rappresentano invece le revisioni nelle aspettative, o news, relative alle due componenti principali del prezzo. Una revisione nelle aspettative misura la variazione nel valore atteso di una variabile tra due momenti successivi nel tempo (tra t e t+1 nel nostro caso), e quindi definisce l’effetto dell’arrivo di nuova informazione sulla variabile in questione. Nello specifico, N_cf è la revisione nelle aspettative sui cashflows futuri, mentre N_dr è l’analogo termine riguardante i tassi di sconto (discount rate news). Le due news hanno effetti opposti sui rendimenti: cashflow news positive (quindi, buone notizie sulla redditività futura delle imprese) producono sorprese positive nei rendimenti, mentre discount rate news positive (buone notizie sui futuri rendimenti medi di mercato) li deprimono. 

Applicando questo semplice modello ai rendimenti del mercato nel suo complesso, si può affermare che, per esempio, essi possono scendere perché gli investitori ricevono cattive notizie sui flussi di cassa futuri, oppure perché gli investitori fanno crescere il tasso di sconto o (costo del capitale) con cui essi attualizzano questi flussi futuri.     

Tra le implicazioni più importanti di questo schema ne selezioniamo, per il momento, due. Primo, la volatilità dei rendimenti deve avere origine in aspettative di rendimenti o revisioni riguardanti cashflows e/o tassi di sconto altrettanto variabili. Secondo, i rendimenti (ma anche i prezzi), possono muoversi, di molto e per periodi considerevoli, anche solo per effetto di revisioni nelle aspettative piuttosto che per effetto di cambiamenti reali nella profittabilità delle imprese. E in effetti, la volatilità osservata, soprattutto nel breve termine, dei corsi e degli indici azionari testimonia del realismo di questo quadro generale.  
In un prossimo post qualche riflessione ulteriore sulle implicazioni di questa simpatica rappresentazione.

14 gennaio 2011

Le vie della salvezza

Magistrale articolo sul New York Times (Can Europe Be Saved?) del Nobel per l'economia Paul Krugman, sui guai debitori dell'Europa.

Il verdetto?

Più o meno quello che anche economisti di orientamento meno liberal di Krugman, e questo blog, prevedono da tempo: per evitare un finale modello Argentina 2002, i paesi europei (Italia inclusa) dovranno presto adottare politiche fiscali eccezionalmente restrittive, ristrutturare almeno in parte il debito, costruire un'unione fiscale, o una creativa combinazione delle tre cose...

13 gennaio 2011

What Have We Learned?

Una delle migliori descrizioni che gli ultimi anni ci abbiano regalato delle crisi finanziarie è senza dubbio This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly, di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff (Princeton, 2008, disponibile anche in italiano per i tipi de Il Saggiatore, 2010).

Si tratta della più completa (a oggi) ricostruzione analitica e di lungo respiro delle crisi debitorie, bancarie e finanziarie in generale, ed è stata a ragione talmente celebrata che è superfluo aggiungere il nostro plauso a quello di tanti altri.

Tuttavia, proprio nell'ottica di non fare mai venir meno un sano livello di senso critico, ci sembra opportuno far notare una curiosa leggerezza nell'analisi dei due autorevoli economisti americani. 

Nel capitolo 17 (Warnings, Policy and Human Foibles) della parte VI, What Have We Learned?, Reinhart e Rogoff stabiliscono quello che a noi appare un controverso "esame di licenza" per paesi, affermando che si può rintracciare un club di nazioni che, dopo un lungo periodo caratterizzato da ricorrenti default e
crisi bancarie, lentamente emergono dalla precarietà e acquisiscono lo status di economie avanzate.

Gli autori sono molto cauti e aggiungono diverse qualificazioni ai criteri semi-automatici scelti per definire se un paese ha le carte in regola per superare l'esame di licenza. E correttamente aggiungono che si tratta di valutazioni comunque approssimative.

Il problema però spunta macroscopico quando uno legge a pag. 287 la lista dei paesi che a loro parere possiedono le potenzialità maggiori di superare l'esame e raggiungere paesi leaders come Germania, Svizzera, USA, ecc.: Cile, Cina, Grecia, Korea e Portogallo.

Niente male. Su Korea e Cile si potrebbe quasi essere d'accordo. Sulla Cina, esistono valutazioni molto discordanti sul reale ammontare del debito pubblico e sulla qualità dell'infrastruttura finanziaria del paese; buone ragioni per sospendere il giudizio e attendere qualche osservazione in più prima di sbilanciarsi.

Su Grecia e Portogallo, invece, la realtà contraddice drammaticamente le previsioni dei non tanto ottimisti (per tutto il resto) Reinhart e Rogoff.

La Grecia veleggia sicura verso il 150% per quanto concerne il rapporto debito pubblico/PIL; è da quasi un anno isolata finanziariamente dai mercati finanziari; il sistema bancario del paese respira in maniera assistita grazie al salvataggio congiunto EU-IMF-ECB dello scorso anno. E lo stesso Rogoff solo pochi giorni fa sul Financial Times ammetteva che la Grecia sarà probabilmente costretta a una sostanziosa ristrutturazione del proprio debito.

Quanto al Portogallo, sebbene la sua situazione debitoria non sia esplosiva quanto quella greca, i mercati danno ormai per scontato che il paese debba accedere all'EFSF, il veicolo europeo di salvataggio dei debiti sovrani.

Proprio gli studi di lungo termine di Reinhart e Rogoff, insieme a quelle di tanti altri, hanno rafforzato l'idea che metodologicamente, oltre che logicamente, è di gran lunga preferibile un'analisi quantitativa approssimativa ma corretta a una precisa ma errata.

Questo sano principio vale proprio per tutti.

5 gennaio 2011

Mercato agli steroidi

L'impressionante grafico qui sotto (click per ingrandire) mostra la crescita reale dei corsi azionari USA dal 1871 ad oggi, accompagnata da una linea di tendenza esponenziale.

Ci sono diversi spunti di riflessione, naturalmente. Per chi, come me, è interessato soprattutto a capire cosa potrebbe accadere nei prossimi cinque-dieci anni, l'elemento più appariscente è che i prezzi sono rimasti al di sopra della pur ottimistica linea esponenziale praticamente per gli ultimi due decenni. Le correzioni 2000-2002 e 2007-2009 sono estremamente vistose, ma al contrario di quanto accadde, per esempio, con altri episodi celebri di ripensamento della precedente "euforia", ossia gli anni '30-'40 e il periodo successivo alla seconda metà degli anni '60, è dall'inizio degli anni '90 che il mercato vede sì qualche correzione significativa, ma mai prolungata e sufficientemente potente da spingere le valutazioni sotto il trend di crescita di lungo termine.



Un contesto macroeconomico di bassa inflazione spiega una parte non secondaria di questi fatti. Tuttavia, l'impressione è che in effetti a partire dai primi anni '90 qualcosa di ancora più strutturale sia capitato al sistema economico USA.

Un'ipotesi che mi sembra abbia sempre più elementi di validità è che il cambiamento più significativo risieda nelle politiche monetarie.

La Fed (attraverso Greenspan prima e Bernanke poi) ha sempre sostenuto che non è ottimale che la banca centrale intervenga con politiche restrittive per scongiurare il formarsi di bolle o prolungate tendenze rialziste nei prezzi degli assets.

Al tempo  stesso, la Fed è da molto tempo impegnata in varie attività di sostegno alle valutazioni azionarie, e non solo nei tempi di crisi che stiamo vivendo o che abbiamo vissuto nei passati venti anni. Il chairman Bernanke ha perfino motivato esplicitamente il nuovo giro di quantitative easing con l'esigenza di sostenere le quotazioni azionarie e con ciò, attraverso effetti ricchezza e collaterale, stimolare ulteriormente la ripresa.

L'effetto di questa asimmetria (la Fed non punirà mai quotazioni euforiche, ma aiuterà consistentemente mercati tendenti alla stagnazione) è davvero molto evidente nelle letture di lungo termine, come quella offerta da questo grafico.

Le domande più pungenti, per il ricercatore come per l'uomo della strada/risparmiatore, allora sono due:
  1. che livello di crescita e stabilità macroeconomica garantisce nel lungo termine questa prassi?
  2. è sostenibile?

3 gennaio 2011

Debt +Tetris = Debtris

Information is Beautiful propone Debtris, una divertente animazione sul peso relativo di diverse entità di debito e spesa globali: