30 novembre 2011

L'Italia è insolvente


Da Reuters di questa mattina:

"L'Italia, intanto, stando a fonti vicine alla situazione, ha avviato colloqui esplorativi con l'Fmi su un aiuto finanziario, possibilmente co-finanziato da  banche centrali europee, ma non è stata presa una decisione. "Le discussioni vertono ora su un contingency package di 400 miliardi. L'Italia non ha inoltrato una richiesta ma le cose stanno andando in quella direzione", dice una fonte. La somma è superiore alla attuale dotazione del Fmi, pari a 380 miliardi. Fmi potrebbe prestare 100 miliardi a un tasso di 4-5% mentre il fondo di salvataggio dell'euro zona e le banche centrali europee affiliate alla Bce potrebbero fornire 300 miliardi, prestati al Fondo. Un portavoce Fmi ha affermato che non ci sono discussioni con l'Italia per un finanziamento, mentre funzionari di Tesoro e Banca d'Italia hanno smentito che ci sia stata una richiesta di aiuto."

E' nostro costume scrivere con chiarezza le nostre opinioni ed evitare costosi e stucchevoli giri di parole. Se confermata, l'accensione di una speciale linea di credito del FMI all'Italia è un buon passo in avanti, perchè sgombra il tavolo dall'avvilente ipocrisia (ce n'è comunque ancora tanta in giro) che ha avvolto la percezione delle reali condizioni delle nostre finanze pubbliche. E' inoltre positivo che si riconosca che a medio termine il fabbisogno di liquidità del nostro Paese non è di qualche decina di miliardi, ma dal 20 al 40% del PIL.

Un prestito però non risolve praticamente nulla del nostro problema numero 1: l'assenza di crescita economica, lo scarso dinamismo della nostra produttività.

La disponibilità di alcune centinaia di miliardi procurerebbe un po' di tempo a un Paese serio e concreto per riformarsi in misura profonda e credibile, e per voltare pagina con rigore e umiltà.

Riuscirà un'Italia rissosa, confusa e dominata da inconfessabili ipocrisie e conflitti di interesse a diventarlo?

25 novembre 2011

Il sobrio sottosegretario al disastro pubblico

Questa mattina il Tesoro italiano ha dovuto concedere un rendimento del 6.504% agli investitori che hanno sottoscritto una decina di miliardi di BOT a sei mesi. L'intero ammontare sottoposto ad asta è stato collocato.

Ma un rendimento del 6.5% su un prestito a sei mesi fa capire una volta di più che se si è dovuto procedere comunque al collocamento nonostante le condizioni prevedibilmente difficili dei mercati di questi tempi, le finanze dello Stato non sono semplicemente in affanno, sono letteralmente alla canna del gas.

Siamo convinti che se appena metà degli Italiani fosse consapevole del disastro sul quale stiamo allegramente, e da qualche giorno sobriamente, danzando, la situazione sarebbe affrontata conmolte più chance di soluzione.

Invece, il tempo scorre, la gravità dei problemi aumenta, il costo delle vie d'uscita meno problematiche sale.

Meno male che fra poco avremo i sottosegretari...

21 novembre 2011

Ricchi manager, banche povere, economia al tappeto

Lo sosteniamo praticamente da sempre. Le banche italiane sono sottocapitalizzate e scarsamente redditizie, anche in ragione dell'assurda fase di crescita per linee esterne (aggregazioni) perseguita negli anni 2000 con il benestare della Banca d'Italia e dei maggiori gruppi di potere del paese.

Di più. Banche in tali condizioni di fragilità e sotto l'occhio critico dei mercati internazionali non faranno altro che continuare a restringere il proprio bilancio a partire essenzialmente dal portafoglio prestiti, strangolando l'economia reale.

La scorsa settimana un articolo del Wall Street Journal ha accolto i dati trimestrali di Unicredit -pessimi- con un commento caustico sull'ormai inesistente valore di mercato di quelle operazioni di fusione. Oggi Moody's, specializzata nel settore, rilancia con un report ancora più in sintonia con la nostra posizione. Di seguito (dal sito di Borsa Italiana):

Moody's: maxi svalutazioni di Unicredit aumentano dubbi sulla redditività delle banche italiane


21 Nov 11:48

Le maxi svalutazioni sugli avviamenti per 10,2 miliardi di euro effettuate la scorsa settimana da Unicredit sollevano i dubbi sulla redditività della rete domestica delle banche italiane. E' quanto scrive Moody's nella sua analisi settimanale, ricordando la perdita monstre di Unicredit nel terzo trimestre (10,6 miliardi di euro), dovuta soprattutto alle svalutazioni sugli avviamenti delle passate acquisizioni. Inoltre, piazza Cordusio ha riportato nel periodo luglio-settembre un utile operativo di 1,85 miliardi di euro, in calo rispetto ai 2,5 miliardi del precedente trimestre. In scia a questi risultati, Moody's ha posto sotto osservazione per un eventuale downgrade il rating di Unicredit e delle sue principali controllate.

In ottobre, l'agenzia di valutazione aveva declassato la banca milanese ad A2, soprattutto per i dubbi sulla redditività della sua rete domestica. "Nella nostra view ? scrivono gli esperti di Moody's ? questo declino nella redditività potrebbe essere una conseguenza della rapida espansione di Unicredit avvenuta durante gli ultimi dieci anni, specialmente per quanto riguarda la fusione con Capitalia nel 2007 e le acquisizioni in Kazakistan e Ucraina".

Inoltre, Moody's ricorda le altre banche italiane che hanno attuato una politica di espansione prima dello scoppio della crisi finanziaria: Monte dei Paschi e Banco Popolare. "Con uno scenario macro italiano destinato a rimanere difficile per molto tempo - ricorda Moody's - ottenere sinergie significative dalle acquisizioni domestiche potrebbe rappresentare una sfida impegnativa, soprattutto nel caso in cui le banche acquistate erano deboli come Capitalia, Antonveneta (Mps) e Banca Popolare Italiana (Banco Popolare)". Di conseguenza, concludono gli esperti di Moody's, le passate acquisizioni potrebbero aumentare la pressione sulla redditività degli istituti acquirenti.

 

19 novembre 2011

Downgrade in vista?

Come sosteniamo da mesi, la strada verso la salvezza economica dell'Italia è lunga e piena di incertezze. Neanche una radicale svolta riformista potrebbe assicurarci che il Paese eviti ulteriori dramatici scossoni finanziari. E non è detto che tale svolta possa venire dal governo appena insediatosi.

Come noi la pensano in tanti, a quanto pare anche Fitch, che ha diffuso una preoccupata analisi della situazione. Ecco alcuni eloquenti stralci, tra cui una previsione, più che una minaccia:

"Italy is likely already in recession and the downturn in activity across the euro zone has rendered the task of the new government much more difficult."

"Sustaining political and public support for structural reforms and austerity will be challenging in the face of rising unemployment. Convincing investors that the reforms will be effectively implemented and will boost economic growth over the medium term will be equally if not more challenging."

"In the event that the Italian government loses market access -- not Fitch's base case -- the ratings would be lowered, likely to the low investment grade category"

17 novembre 2011

10 novembre 2011

Italian Brothers

L'Italia come Lehman, le banche francesi come AIG, Fannie Mae e Freddie Mac, la BCE come il Tesoro americano, ma con molte munizioni in meno. E soprattutto un'economia estremamente fragile, già in bilico tra stagnazione e rallentamento, a rischio ora di profonda recessione.

Il 2008 e il 2009 potrebbero ancora non ripetersi nel 2011 e 2012. Ma i miracoli in economia non accadono mai contro il volere dei fondamentali. E i fondamentali europei sono noti.

Banche sottocapitalizzate e con in portafoglio titoli che rischiano di divenire carta straccia. Stati incapaci di tagliare la spesa alla velocità necessaria a convincere gli investitori a prestare loro denaro a condizioni accettabili. E soprattutto colpevole reticenza su quello che dovrebbe fare la politica monetaria (intervenire per l'emergenza ma poi recidere la propria reattività asimmetrica all'andamento dei mercati degli assets), la politica fiscale (tagliare drasticamente la spesa pubblica e simultaneamente abbassare la pressione fiscale sui ceti produttivi e sul lavoro) e la supervisione bancaria (imporre ricapitalizzazioni sostanziose agli istituti e se necessario far subentrare gli stati nel capitale).

Se ci resta solo la minimizzazione dei danni di questa nuova bufera la colpa è soprattutto di chi, a livello europeo e italiano in tre anni non ha saputo o voluto attaccare i problemi con la decisione necessaria. Sarebbe giusto che facessero quantomeno la fine di Dick Fuld.

9 novembre 2011

ETFs & flowers

In una semplice animazione di IShares, la logica sottostante gli ETFs e il meccanismo di Creation/Redemption:


7 novembre 2011

Euro: il fumo e l'arrosto

Nonostante la pomposità dei summit e la complessità delle cosiddette "soluzioni", la crisi del debito sovrano europeo resta molto semplice da spiegare.

Le persistenti, e crescenti, difficoltà di diversi paesi a rifinanziare il proprio debito sono solo sintomi del problema. La crisi economico-finanziaria ha messo in evidenza e reso meno tollerabili i due limiti fondamentali su cui l'Unione Monetaria Europea è stata incapace di incidere, se non negativamente: spesa pubblica eccessiva e perdita di competitività.

Per lungo tempo questi problemi sono stati ignorati dai policymakers e anche dai mercati finanziari.

Quali vie d'uscita? Profondi processi di aggiustamento, che includano riforme strutturali e consolidamento fiscale in grado di restituire concretamente competitività alle economie in difficoltà e sostenibilità alle loro finanze pubbliche. E un atteggiamento finalmente non compiacente con le spregiudicate pratiche di business e la sottocapitalizzazione dei maggiori gruppi bancari.

Tutto il resto, dai piani di salvataggio comunitario alle misure fiscali non permanenti, alle polemiche contro le agenzie di rating, sono uno sterile e sempre più costoso esercizio di astrazione dalla realtà.