19 luglio 2011

18 luglio 2011

Laugh tests

I mercati stamattina stanno clamorosamente bocciando (oltre che la manovra italiana di bilancio) la razionalità e i risultati di stress tests come quelli appena conclusi con la sostanziale assoluzione del sistema bancario europeo dalla necessità di dotarsi di mezzi propri più sostanziosi.

Da Bloomberg (Sarah Jones - Jul 18, 2011 12:49 PM GMT+0200):

"...Christopher Wheeler, a banking analyst at Mediobanca SpA in London said UniCredit, Deutsche Bank, BNP Paribas (BNP) SA, Credit Agricole SA, Societe Generale (GLE) SA, Banco Santander SA and Credit Suisse Group AG (CSGN) are among banks that may have to raise a combined total of about 62 billion euros in additional capital. All the banks passed the EBA’s tests."

Se lo dice un analista del primo azionista di Unicredit...

15 luglio 2011

Manovra all'europea, spiegata

Il governo italiano diversi mesi fa concordò con le autorità europee un programma pluriennale di consolidamento fiscale. Il piano prevede un aggiustamento complessivo, ossia una riduzione di spesa e un aumento delle entrate, di 3 punti percentuali di PIL all'anno (45 miliardi di euro circa) per un orizzonte di anni talmente lungo da essere virtualmente indefinito. Il tutto per avvicinare il rapporto debito/PIL del Paese alla soglia del 60% entro un ventennio.

Certo, non esiste governo, anzi, classe politica al mondo in grado di prendere impegni credibili per orizzonti così lunghi, ma sicuramente i primi tre-quattro anni contano qualcosa.

Eravamo a pochi mesi da elezioni amministrative e referendum come sempre decisivi per gli equilibri politici più importanti, per cui il governo preferì glissare fino a pochi giorni fa su questo piano, anticipando solo che entro luglio 2011 sarebbe stato necessario fare al massimo un "tagliando" alla manovra finanziaria dello scorso anno, che aveva messo "in sicurezza" i conti pubblici italiani.

Invece, in 2-3 settimane siamo passati dal "va tutto a gonfie vele" a un clima da Titanic, con la blindatura di una "manovra" da quasi 80 miliardi fatta di misure estremamente discutibili su molti piani (condivido pienamente il punto di vista di Michele Boldrin). Così, siamo passati dal semplice "tagliando" al rispetto quasi notarile dei numeri prefisti nell'accordo "misterioso" con Bruxelles di cui nessuno o quasi ci aveva informato.

La ragione per la quale nessuno ci aveva informato è che per quanto pomposamente e seriosamente concepiti, sia il piano di Bruxelles che la manovra sui conti pubblici non basteranno. I conti pubblici italiani sono tutt'altro che in sicurezza, perchè l'essenza della manovra è sul lato dell'aumento delle imposte e di altre entrate, e avrà quindi effetti esclusivamente recessivi. Il che renderà ancora più problematica la riduzione di deficit e debito nei prossimi anni, e ancora più vulnerabile il nostro Paese ai sussulti di avversione al rischio dei mercati finanziari.

Domanda: che Paese siamo per meritare di essere trattato in questo modo puerile?

11 luglio 2011

It's a matter of credibility, Buddy!

Nelle nostre lezioni degli ultimi anni, e su questo blog praticamente da quando è nato, abbiamo sottolineato che la debolezza strutturale della nostra economia, la sottocapitalizzazione delle nostre banche e la precarietà delle nostre finanze pubbliche rappresentano determinanti di fondo di una preoccupante vulnerabilità del nostro sistema economico.

Qualcuno, di fronte ai primi tremori della crisi 2007-2009 diceva che era meglio parlare di "turbamenti, non crisi", e aggiungeva che l'euro costituiva un solido "scudo" (vedi per esempio qui). Salvo poi scoprire che invece eravamo all'inizio del terremoto economico finanziario più rilevante degli ultimi 70 anni, e che oggi la struttura istituzionale dell'euro motiva lo scetticismo dei mercati finanziari sulla solvibilità di diversi suoi membri, Italia inclusa.

Qualcun altro, anche solo pochi giorni fa, dichiarava che le banche italiane, al contrario di quanto insinuato dalle agenzie di rating, sono solide e sane (vedi per esempio qui e qui), salvo poi constatare come i mercati, evidentemente di umore poco solidale con la nostrana declinazione di liberismo QCFC (quando ci fa comodo), la pensino diversamente.

Cosa potrebbe invertire un moto che somiglia sempre più alla spirale alla greca che i pundits casarecci hanno esorcizzato per mesi (noi non siamo come la Grecia)? Un paio di cose, di buon senso, che se fatte con la necessaria chiarezza e onestà possono restituire in tempi brevi un minimo di credibilità al nostro sistema finanziario.

Uno: governo, opposizione e Bruxelles dovrebbero riconoscere che la situazione di medio e lungo termine della nostra finanza pubblica è incompatibile con il rientro entro 20 anni al rapporto debito/PIL al 60% da tutti promesso e a cui i mercati evidentemente non credono. Basti pensare che se le stime di crescita del PIL per i prossimi quattro anni del governo si sbagliassero anche solo dello 0.5% all'anno, il rapporto passerebbe dal 120% di oggi al 130% nel 2015. Quindi, occorre tagliare significativamente la spesa pubblica, dal 2011, non dal 2014.

Due: data la loro esposizione diretta e indiretta nei confronti dei titoli di stato PIIGS e di altre attività traballanti, le banche italiane sono visibilmente sottocapitalizzate. Ergo, bisogna bloccare per diversi anni la distribuzione dei dividendi, programmare nuovi aumenti di capitale, tagliare il numero di filiali, abbassare l'esposizione a grandi imprese e individui "amici", orientare il modello di business verso la crescita organica e la trasparenza.

1 luglio 2011

Il perchè dell'outlook negativo di Standard & Poor's sull'Italia

LONDON (Standard & Poor's) July 1, 2011.

"...The negative outlook on Italy reflects Standard & Poor's view of certain downside risks to the government's debt-reduction plan over 2011-2014, and represents our belief that there is approximately a one-in-three likelihood that the ratings could be lowered within the next 24 months. In our view, these downside risks will primarily stem from weaker growth than our current assumption of average GDP growth of 1.3% during 2011-2014. In addition, we believe that extended political gridlock could contribute to fiscal slippage.
If one or a combination of these risks materializes, Italy's general government debt burden could stagnate at the current high level. In this case, we may lower the long- and short-term ratings on Italy. On the other hand, if the government manages to gather political support for the implementation of competitiveness-enhancing structural reforms, paving the way for higher economic growth and faster reduction of its debt burden, the ratings could remain at the current level."

Inflazione, questa sconosciuta

L'inflazione italiana è oggi intorno al 2.7% all'anno. Un valore elevato se si considera che la dinamica del prodotto interno lordo è pressocchè anemica. E' utile quindi dare uno sguardo al passato per capire meglio l'evoluzione ultima di un fenomeno relativamente poco dibattuto in tempi recenti.

Il grafico in basso riassume l'andamento dell'inflazione annua italiana dal 1949 al 2010 (click per ingrandire).




In un'ottica di lungo termine, si possono identificare almeno tre sviluppi importanti. Primo, l'inflazione fu molto volatile negli anni '50 e '60, quando i sindacati maturarono in una transizione dalla forza del periodo post-bellico a un certo indebolimento nel corso degli anni '50. La crescita dell'occupazione negli anni '60 aumentò la sindacalizzazione della forza lavoro, anche tra i lavoratori non specializzati. il peso di questi ultimi, alla fine degli anni '60 crebbe rispetto a quella dei lavoratori specializzati, che erano la base tradizionale dei sindacati.

Secondo, lo shock petrolifero del 1973-4 scatenò una forte accelerazione del livello dei prezzi. Al tempo stesso, L'Italia visse una forte crescita del potere sindacale, scioperi massicci e richieste diffuse di salari monetari uguali per tutti. Nel 1975 la politica monetaria diventò restrittiva in risposta alla crescenti pressioni salariali e a una bilancia dei pagamenti in forte deterioramento. La moderazione salariale tuttavia durò soltanto un paio d'anni, il che spiega perchè l'inflazione non si ridusse in misura significativa.

Alla fine, l'inflazione scese fortemente verso la fine degli anni '80, anche in seguito alle politiche aninflazionistiche intraprese in USA e UK. La disinflazione italiana coincise con un declino del potere negoziale dei sindacati, la riduzione dei meccanismi di indicizzazione salariale e lo stabilirsi di una politica dei redditi che sancì il modello di concertazione tra datori di lavoro, governo e sindacati. Una politica monetaria ancora più antinflazionistica sotto il governatorato Fazio, principalmente il risultato di una Banca d'Italia divenuta sostanzialmente indipendente dal governo, fu in larga misura responsabile per l'ammissione del paese nell'Unione Monetaria Europea.

L'esperienza dell'Italia con l'euro finora è stata caratterizzata da una dinamica della produttività particolarmente deludente. Ciò si è riflesso in una crescita economica molto lenta, ma non ha impedito al paese di registrare tassi di inflazione mediamente superiori rispetto alla media UME.