18 ottobre 2011

Incertezza e spesa pubblica


Gli ultimi anni hanno insegnato che nelle previsioni economiche è preferibile mantenersi prudenti, perché l’incertezza domina l'evoluzione futura dei mercati e delle economie. Individui, famiglie, imprese, gli stessi Stati nazionali fronteggiano oggi una fase di accentuata volatilità, che si riverbera negativamente sulle decisioni di tutti questi attori. 

Tutta questa incertezza deriva dal fatto che la Grande Crisi del 2008 ha accelerato una trasformazione strutturale dell'economia già in corso. Progresso tecnico, globalizzazione, spostamento verso est del baricentro produttivo e invecchiamento demografico sono processi permanenti, ma con la Crisi i loro effetti, e i loro costi, sono diventati più significativi, specialmente per alcuni ceti sociali e per alcuni paesi. Interi settori industriali sono in via d’estinzione. Diverse occupazioni sono divenute obsolete o ridondanti; le fragilità di alcuni sistemi produttivi nazionali, e del loro welfare, sono per alcuni paesi ancora più insostenibili di quanto non fossero poco tempo fa. La geografia stessa della produzione e dello scambio mondiali sta rapidamente mutando, promuovendo nuovi protagonisti (asiatici e latino-americani) e mettendo in forte difficoltà sistemi storicamente dominanti (vecchia Europa). Questi turbinosi cambiamenti creano opportunità, timori, ma soprattutto incertezza. 

Quanto emerge dalle nebbie di questo tempo non somiglia per nulla ad una ripresa economica stabile e duratura. Le economie dei paesi occidentali vivono e vivranno ancora almeno per il 2012 una persistente debolezza. I paesi emergenti continueranno a crescere più vigorosamente di noi, ma meno di quanto abbiano fatto negli ultimi due anni. Consumi, investimenti e commercio internazionale a loro volta si indeboliranno.

Il nostro paese è tra i più esposti a questi rischi, e al tempo stesso quello più vulnerabile alla questione oggi più importante, cioè la sostenibilità delle finanze pubbliche.
Il vasto debito che abbiamo potrebbe essere ridotto se il paese crescesse a tassi tripli o quadrupli di quelli degli ultimi 10 anni. Se invece continuasse la scadente crescita economica recente, ci ritroveremmo in una prospettiva greca o argentina. Per evitarla, occorre far salire le entrate pubbliche, tagliare la spesa, o combinare le due cose. Ora, tutti ci auguriamo una sconfitta dell’evasione fiscale, che però non sarà possibile a breve, né senza fondamentali revisioni del nostro sistema giuridico e un irrobustimento del contratto sociale che lega gli Italiani allo Stato. Queste cose richiedono, oltre che volontà, molto tempo, e non è scontato che riescano. Quindi, restano essenzialmente l’aumento della pressione fiscale sui ceti che già pagano le tasse, oppure una diminuzione significativa delle spese. Complessivamente, la seconda via può fornire una soluzione meno iniqua e strutturale al problema. Ed eliminare una consistente fonte di incertezza.

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