25 dicembre 2010

Nuova moneta e spinte inflattive: tra il dire e il (poter) fare...

Se acquisto un T-bond (un titolo del Tesoro USA) devo impiegare miei fondi, oppure liquidare altre posizioni in attività per mettere insieme il denaro necessario al fine di acquistare il titolo.

In alternativa, potrei prendere in prestito denaro da una banca e usare i fondi per comprare il titolo "al margine".

Se è una banca centrale - diciamo la Federal Reserve - ad avere lo stesso problema, lo risolve in un altro modo.

Semplicemente accredita all'istante il conto di deposito che il venditore del titolo di stato - una banca commerciale - ha presso di essa. A sua volta, il venditore gira i titoli di stato o le mortgage backed securities alla Fed, che in pratica crea elettronicamente nuova moneta.

Tutta questa moneta, tuttavia, nonostante le pie intenzioni della Fed, non si sta diffondendo granchè nell'economia. La maggior parte è semplicemente parcheggiata nei depositi - chiamate riserve - delle banche commerciali presso la Fed. E' questa la ragione per cui le misure ufficiali dell'offerta di moneta non hanno sinora evidenziato un aumento significativo, che invece si manifesta quando cresce l'ammontare di fondi effettivamente dati in prestito da parte delle banche commerciali. Se dall'inizio del 2008 le riserve bancarie presso la Fed sono passate da 33 a quasi 1000 miliardi di dollari, la moneta in circolazione è cresciuta "solo" del 18%, e la definizione più ristretta di M2 del 3.3% appena.

Supponiamo che a un certo punto gli "spiriti animali" si risveglino e comincino a domandare consistentemente nuovi fondi per investimenti e consumi, così che le banche commerciali traducano in misura massiccia quelle riserve in nuovi impieghi creditizi. Cosa ci salverà, a quel punto, dal potente impulso inflazionistico che molti osservatori, diversi dei quali abbastanza autorevoli, temono da un paio d'anni?

I vertici della Fed rassicurano di avere a disposizione una molteplicità di strumenti per prosciugare l'esorbitante liquidità immessa in questi anni. Una delle possibili leve è il tasso di interesse che la Fed paga sui depositi delle banche commerciali presso di essa. Al momento quel tasso è solo lo 0.25%, e aumentandolo si potrebbe rendere più graduale lo spostamento della liquidità verso un impiego creditizio a ritmi inflazionistici.

Non c'è dubbio che alla Fed non manchino strumenti tecnici in grado di influenzare l'allocazione dei fondi a disposizione delle banche commerciali.

I rischi maggiori riguardano però la reale possibilità che i banchieri centrali avranno di contrapporsi alle richieste di perseverare nel sostegno all'attività economica, specialmente se la ripresa dell'occupazione e dei consumi continuerà a configurarsi come flebile e legata proprio agli interventi delle politiche monetarie e fiscali.

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