11 luglio 2011

It's a matter of credibility, Buddy!

Nelle nostre lezioni degli ultimi anni, e su questo blog praticamente da quando è nato, abbiamo sottolineato che la debolezza strutturale della nostra economia, la sottocapitalizzazione delle nostre banche e la precarietà delle nostre finanze pubbliche rappresentano determinanti di fondo di una preoccupante vulnerabilità del nostro sistema economico.

Qualcuno, di fronte ai primi tremori della crisi 2007-2009 diceva che era meglio parlare di "turbamenti, non crisi", e aggiungeva che l'euro costituiva un solido "scudo" (vedi per esempio qui). Salvo poi scoprire che invece eravamo all'inizio del terremoto economico finanziario più rilevante degli ultimi 70 anni, e che oggi la struttura istituzionale dell'euro motiva lo scetticismo dei mercati finanziari sulla solvibilità di diversi suoi membri, Italia inclusa.

Qualcun altro, anche solo pochi giorni fa, dichiarava che le banche italiane, al contrario di quanto insinuato dalle agenzie di rating, sono solide e sane (vedi per esempio qui e qui), salvo poi constatare come i mercati, evidentemente di umore poco solidale con la nostrana declinazione di liberismo QCFC (quando ci fa comodo), la pensino diversamente.

Cosa potrebbe invertire un moto che somiglia sempre più alla spirale alla greca che i pundits casarecci hanno esorcizzato per mesi (noi non siamo come la Grecia)? Un paio di cose, di buon senso, che se fatte con la necessaria chiarezza e onestà possono restituire in tempi brevi un minimo di credibilità al nostro sistema finanziario.

Uno: governo, opposizione e Bruxelles dovrebbero riconoscere che la situazione di medio e lungo termine della nostra finanza pubblica è incompatibile con il rientro entro 20 anni al rapporto debito/PIL al 60% da tutti promesso e a cui i mercati evidentemente non credono. Basti pensare che se le stime di crescita del PIL per i prossimi quattro anni del governo si sbagliassero anche solo dello 0.5% all'anno, il rapporto passerebbe dal 120% di oggi al 130% nel 2015. Quindi, occorre tagliare significativamente la spesa pubblica, dal 2011, non dal 2014.

Due: data la loro esposizione diretta e indiretta nei confronti dei titoli di stato PIIGS e di altre attività traballanti, le banche italiane sono visibilmente sottocapitalizzate. Ergo, bisogna bloccare per diversi anni la distribuzione dei dividendi, programmare nuovi aumenti di capitale, tagliare il numero di filiali, abbassare l'esposizione a grandi imprese e individui "amici", orientare il modello di business verso la crescita organica e la trasparenza.

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